Diario di viaggio USA: Florida, Savannah, New Orleans e New York

New York vista dal mare
La Statua della Libertà e Manhattan viste dal ferry boat.

Mi piacciono gli USA. Credo che sia un posto perfetto per fare un viaggio e scoprire ogni giorno grandi metropoli e deserti silenziosi, spazi infiniti e piccole isole. Tutto e il contrario di tutto. L’anno scorso il nostro viaggio è iniziato e finito a San Francisco, sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Quest’anno, invece, ci siamo dedicati alla costa orientale: da Miami a New York, attraverso la Florida, la Georgia e una deviazione fino in Lousiana per ammirare da vicino New Orleans. Si parte!

19/09 Roma – Miami

Questo viaggio è stato organizzato in circa due mesi. Il necessario per procedere da soli: un calendario per fissare le date (ed evitare, per esempio, i weekend nelle metropoli), una guida per definire l’itinerario dei luoghi da visitare e Google Maps, per vedere in termini pratici se le distanze e i tempi di percorrenza sono accettabili.
Tutti i voli sono stati acquistati su eDreams perché ci ha dato il prezzo migliore per la nostra formula multitappa che prevede un volo interno e il ritorno da una città diversa rispetto a quella di arrivo. Nel carrello sono finiti Roma-Miami via Barcellona, New Orleans-New York via Washington e infine New York-Roma via Parigi, per un totale di 689 Euro inclusa una piccola assicurazione in caso di annullamento dei voli. Hai visto mai…
Anche gli orari dei voli sono stati scelti per arrivare il prima possibile e tornare tardi, in modo da sfruttare al massimo il tempo da trascorrere a destinazione.
Anche se ciò ci obbliga a una levataccia per arrivare in aeroporto, pazienza, dormiremo durante il volo. Come sempre raggiungiamo il parcheggio AltaQuota2 e alle 05:00 siamo in fila per fare check-in e imbarcare le nostre valigie sull’aereo delle 07:15 operato da Vueling che ci porterà fino a Barcellona, da lì proseguiremo con British Airways.
Nota sui bagagli: il biglietto British dà diritto a un bagaglio in stiva del peso massimo di 23 chili. Se alcuni voli sono operati da altre compagnie, nel nostro caso da Vueling per gli scali europei di andata e ritorno, non bisogna pagare supplementi: la compagnia ospite si adegua a quella che ha emesso il biglietto. Quindi anche Vueling imbarca le nostre valigie senza costi aggiuntivi.
I voli filano lisci, con la solita alternanza di intrattenimento-sonnolenza-rancio militare, e 15 ore dopo la partenza dall’Italia (scalo incluso) arriviamo a Miami.
Ricordo che è possibile viaggiare negli Stati Uniti senza visto ma per farlo è necessario munirsi di ESTA, un modulo disponibile online che costa 14 dollari a persona (12.50 Eu). Da notare: l’ESTA è valido 2 anni ma a condizione che il passaporto sia lo stesso! Io avevo l’ESTA dello scorso anno ma nel frattempo ho cambiato il passaporto per il viaggio in India e ho dovuto farlo da capo. E sì, si paga nuovamente: non si rinnova, non si modifica, si deve rifare e basta.
Tra pratiche per l’ingresso e ritiro bagagli impieghiamo circa 40 minuti e alle 16:30 siamo fuori l’aeroporto ad aspettare la navetta messa a disposizione dal nostro hotel. Peccato però che ci abbiano dimenticato. Difatti abbiamo atteso un’ora per un tragitto di 10 minuti!
Arriviamo al Best Western Miami International Airport Hotel & Suites e ci fermiamo giusto il tempo per lasciare i bagagli, poi torniamo di nuovo in strada. Siamo distanti dal centro e sembra complesso arrivarci con i mezzi pubblici, così mentre studiamo gli orari a una fermata del pullman si accosta una macchina con una famiglia e chiediamo informazioni sulle corse. La gentilezza e i sorrisi possono infondere subito fiducia e regalare inaspettate sorprese: ci prendono a bordo e ci danno un passaggio fino a Miami Beach! In 40 minuti di auto abbiamo riso, scherzato e ci hanno mostrato locali dove cenare e posti da evitare: abbiamo ricevuto un ottimo assaggio della famosa ospitalità del Sud.
Arrivati a Collins Avenue vaghiamo un po’ senza meta, compriamo in uno store le prime calamite e ci fermiamo a cena da Finnegan’s Way su Ocean Drive, a due passi dal mare. Ordiniamo The Finnegan, un panino con hamburger, roast beef, formaggio svizzero, insalata di cavolo, senape e patatine. E per non farlo sentire solo aggiungiamo anche Finnegan’s Chicken Strips, deliziose striscioline di pollo fritto. Totale: 29.20 dollari (26 Eu)
Siamo stanchi e sazi ma non rinunciamo a una passeggiata notturna sull’immensa spiaggia deserta. All’orizzonte c’è una spettacolare tempesta di fulmini che illumina a intermittenza il cielo eppure non un solo tuono, non una goccia di pioggia. Solo tanto caldo, tanta luce ed elettricità nell’aria che però non basta a ricaricare le nostre batterie: abbiamo bisogno di un letto, quindi rientriamo su Collins Avenue e fermiamo un taxi per farci accompagnare in hotel. La tariffa è fissa, senza tassametro, e servono 35 dollari (31.20 Eu) per tornare alla base, giusto 17 chilometri più in là.
Raggiungiamo la nostra stanza e ora sì che siamo pronti per crollare, non prima di aver messo le lancette indietro di 6 ore. Meraviglioso! Sono solo le 23:00 e abbiamo una lunga notte di riposo prima di iniziare la vera e propria avventura che ci aspetta. Domani.
Novità! Quest’anno ho portato con me uno Xiaomi Mi Band per misurare le nostre scarpinate quotidiane. Bracciale discreto, leggero, impermeabile, tarato su altezza, peso, sesso, polso, è molto preciso e a fine giornata, sincronizzato in Bluetooth con l’app su iPhone, ci mostra i chilometri percorsi.

Quanto abbiamo camminato oggi? 5,50 km 🙂

20/09 Miami – Key West (302 km)

Un po’ il fuso orario, un po’ l’adrenalina per l’inizio del viaggio on the road, alle 07:00 siamo in piedi e alle 08:30 siamo di nuovo sulla navetta che va in aeroporto.
Andiamo dritti ai banchi di Alamo per ritirare l’auto noleggiata dall’Italia, rispetto all’anno scorso quest’anno consegneremo la macchina in un posto diverso dal ritiro. Tecnicamente si chiama drop-off e comporta un sovrapprezzo che varia in base alla distanza, a noi viene a costare 300 dollari (267.50 Eu) ma rispetto all’itinerario che intendiamo percorrere ci va più che bene.
Abbiamo prenotato una macchina di categoria fullsize (bagagliaio capiente) con una formula all inclusive: navigatore GPS, secondo guidatore, pieno e chilometraggio illimitato. Ci abbiamo aggiunto anche un’assicurazione di copertura totale (sostituzione immediata del veicolo in caso di perdita delle chiavi, rottura cristalli, foratura, batteria scarica, ecc…) per un totale di 695 Euro.
Dopo aver firmato le scartoffie scendiamo nel garage e ci indicano un settore con una ventina di macchine parcheggiate: “Scegliete voi quella che preferite”. Ahia, qui rischiamo di far notte… c’è anche una tamarrissima Camaro 😉
Alla fine optiamo per un criterio intelligente: chiedo quali modelli avevano il cruise control e di questi i relativi consumi. Già così la scelta si riduce molto, poi ho pensato a un’altra caratteristica fondamentale: prendiamola senza chiavi. Apertura/chiusura sulla maniglia dello sportello e pulsante Start per l’accensione, così il telecomando di prossimità resta sempre in borsa e per tutto il viaggio hai una cosa in meno da ricordare, di solito una cosa che si perde facilmente: le chiavi 🙂
Il feeling scatta con una Nissan Altima nera nuova di zecca, solo 3000 chilometri.
Dall’aeroporto ci spostiamo verso Miami Beach per vedere il lungomare e la spiaggia di giorno, ci fermiamo di nuovo nei pressi di Finnegan’s e scendiamo verso il mare per il primo scatto della nostra nuova gallery Facebook pubblicata mano-a-mano.
L’acqua è calda, verde, invitante. Ci piacerebbe restare ma abbiamo altro da fare in programma, quindi riprendiamo l’auto e ci dirigiamo a Wynwood per visitare questo quartiere periferico che sta conoscendo un grande sviluppo e un’efficace riqualificazione grazie all’arte muraria. Wynwood Walls è uno spazio libero e aperto, con murales e dipinti esposti, oltre a un ricco calendario di appuntamenti. Si possono ammirare opere notevoli e comprendere in via definitiva che l’arte sui muri è cosa possibile, ma rara.
Dopo questi giri rientriamo in albergo per riprendere le valigie e partire, difatti grazie al check-out ritardato per i possessori di carta Diamond possiamo lasciare la stanza alle 13:00.
Ci rinfreschiamo rapidamente con acqua aromatica alle fragole e al cetriolo, facciamo uno spuntino al volo da Burger King con un’insalata di pollo e Nuggets a 11 dollari (9.80 Eu) e siamo pronti per attraversare tutte le Florida Keys lungo la spettacolare Overseas Higway, fino alla nostra destinazione finale: Key West, il punto più a sud degli Stati Uniti.
Passiamo in rassegna Key Largo, Islamorada e Marathon, facciamo qualche sosta per comprare acqua, snack e fare qualche fotografia alle tantissime iguane che si scaldano nelle aiuole che costeggiano la strada. Gli scorci che abbiamo davanti sono meravigliosi e la tabella di marcia è perfetta, arriveremo giusto in tempo per il tramonto.
Dopo circa 4 ore di marcia arriviamo al Lighthouse Court Hotel, scelto proprio per la sua posizione ottimale: siamo nel cuore della città vecchia, di fianco al faro storico e il nostro dirimpettaio è Hemingway che qui a Key West ha vissuto 9 anni e sicuramente avrà dato ampio sfogo alla sua passione per la pesca.
Sembra il nostro giorno fortunato: troviamo parcheggio di fronte all’ingresso e ci offrono un upgrade gratuito della stanza. L’hotel è davvero bello, tutto in legno dipinto con i colori pastello tipici dell’isola e tanta vegetazione tropicale che circonda la piscina.
Lasciamo le valigie e siamo subito sulla vicinissima Duvall Street, la strada principale dove ci sono i migliori negozi e locali della città. Li facciamo sfilare tutti fino a Mallory Square, la piazza sul mare dove tutti si danno appuntamento per assistere al tramonto. Un tramonto è un tramonto, si direbbe che sono tutti belli ma… qui è più bello! Il sole si tuffa nel blu del mare in uno scoppio di colori: giallo, arancione, rosso, fino al viola delle nuvole che contrasta con il verde brillante della vegetazione. Quando il sole scompare all’orizzonte il pubblico esplode in un applauso rituale, come se avesse assistito a uno spettacolo di fuochi pirotecnici.
Ci gustiamo due grandi Margarita frozen (20 dollari, 17.80 Eu) mentre guardiamo l’esibizione di un artista di strada e poi passeggiamo lungo il porticciolo storico alla ricerca di un buon ristorante. Diamo un’occhiata ai menù esposti e alla fine la scelta ricade su Conch Republic Seafood. A quanto pare la nostra giornata fortunata continua, infatti mentre siamo in attesa per entrare si libera proprio un tavolino esterno per due e quindi ci troviamo seduti ai margini della palafitta, giusto a un paio di metri dalle barche da pesca ormeggiate lungo il pontile.
Il tempo di studiare il menù e siamo pronti: conch fritters, tipiche frittelle di conch servite con mostarda al lime; gamberi locali affumicati con peperoni rossi grigliati e salsa di pomodoro cubano, serviti con riso e verdure fresche. Per dessert la tradizionale torta Key lime fatta in casa, una cheescake con crema di lampone e lime. Una cena davvero ottima, per un totale di 46.20 dollari (41.20 Eu).
Sulla strada del ritorno ripercorriamo Duvall Street che con il buio rivela il suo lato più trasgressivo: alcool a fiumi, musica ad alto volume e intrattenimento in stile Coyote hugly per tutti i gusti. Diamo una sbirciata in giro, scattiamo qualche foto con pappagalli sulle spalle e ci fermiamo a comprare calamite, t-shirt e shottini: i nostri primi souvenir per gli amici.
Prima di andare a dormire ci rilassiamo qualche minuto in piscina per godere un po’ di frescura: gran caldo a Key West, per tutto il giorno la temperatura è stata di circa 30 gradi!
La prima giornata on the road si chiude, domani tocca alle Everglades. E non solo!

Quanto abbiamo camminato oggi? 9,4 km

21/09 Key West – Everglades – St Petersburg (703 km)

Apriamo gli occhi alle 07:00, ci aspetta la tappa più lunga dell’intero viaggio e prima di partire facciamo il pieno energetico grazie alla colazione servita in un buffet a bordo piscina: cornetti salati e bagel speziati con semi di papavero, finocchietto e sesamo, muffin ai frutti di bosco, succo di arancia e yogurt con muesli croccante. Prepariamo anche uno spuntino al sacco per il pranzo e dopo il check out salutiamo le ragazze della reception, siamo stati molto bene in questo hotel e ci resterà un bellissimo ricordo di Key West.
Prima di lasciare l’isola facciamo tappa al Southernmost Point Marker, un’enorme pietra miliare che segna il punto più a sud degli Stati Uniti a sole 90 miglia da Cuba.
Dopo le foto di rito puntiamo dritti verso l’Everglades che attraverseremo lungo il Tamiami Trail (Hgwy 41), una strada che taglia in due il parco. La nostra tabella di marcia ha ritmi serrati ma non possiamo rinunciare un’escursione su una airboat che scivola sulle acque della palude.
Evitiamo accuratamente le prime attrazioni turistiche pubblicizzate con enormi cartelloni propongono zoo e lotta con gli alligatori, cioè, perché uno dovrebbe andare a vedere il wrestling con i coccodrilli?
Noi scegliamo di affidarci alle escursioni gestite dalla tribù nativa Miccosukee situata nei pressi della Shark Valley. Ci fermiamo, compriamo il biglietto (20 dollari, 17.80 Eu), infiliamo i tappi nelle orecchie e iniziamo a scivolare sull’acqua piatta e ferma. L’imbarcazione si spinge nella palude e lo scenario diventa sempre più selvaggio: le nuvole e il cielo si specchiano nell’acqua creando un effetto di continuità indescrivibile mentre gli aironi spiccano il volo improvvisamente dalle fronde di alberi semisommersi.
Facciamo sosta in un campo antico della tribù, risalente ad oltre 100 anni fa: una grande palafitta di legno con una passatoia tutto intorno per inoltrarsi a piedi nell’habitat della palude. Qui abbiamo visto un alligatore con i suoi piccoli e soprattutto abbiamo sentito il suo impressionante respiro, difatti era sotto la superficie dell’acqua e sarebbe rimasto invisibile se non fosse emerso per respirare.
Prima di ripartire la nostra guida – l’indimenticabile Manny Mosquito – ci ha fatto un lungo sermone intriso di misticismo, orgoglio tribale e cristianesimo spiegando il significato della bandiera della tribù e l’importanza del rispetto della natura, del ciclo vitale e dell’amore per il prossimo. Alla fine del discorso un alligatore è spuntato fuori a mezzo metro da noi, con tempismo perfetto per salutare Manny e i suoi discepoli.
La seconda parte del giro è stata più movimentata con qualche testacoda e tante derapate in velocità. Dopo un’ora rientriamo al molo, salutiamo e ci rimettiamo in macchina diretti a San Petersburg: fuori ci sono 37 gradi e abbiamo altre 222 miglia da percorrere. La strada attraversa ancora chilometri di Everglades e poi lascia spazio a campi coltivati e vivai, tantissimi vivai. Tra le cose curiose viste durante il tragitto ricordiamo i violenti acquazzoni improvvisi con altrettanto improvvisi arcobaleni e i segnali stradali che invitavano alla cautela perché ci trovavamo in una zona di attraversamento… pantere! 🙂
Alle 20:00 arriviamo al The Inn On Third nel centro storico di St. Petersburg e anche qui accoglienza meravigliosa in un ambiente molto famigliare, sembra una casa inglese degli anni ’50.
Ci diamo una rinfrescata e torniamo in macchina: alle 21:00 abbiamo una cena a Tampa, a 20 chilometri da noi ci aspettano i Di Nittos, una coppia di amici trasferiti qui per lavoro. Ci siamo visti solo il mese scorso in Italia ma abbiamo da raccontarci tantissime cose: il nostro viaggio appena iniziato e il loro ambientamento in USA. Così tra un bicchiere di vino rigorosamente italiano e un fiume di parole, passiamo una serata che ricorderemo volentieri durante tutto l’anno che ci separa dal prossimo incontro. I bambini si addormentano e noi siamo altrettanto sfiniti: troviamo la forza per congedarci dagli amici e affrontare gli ultimi 20 minuti di macchina di una giornata lunga 700 chilometri.
Domani ci aspetta una giornata più rilassante, ce la meritiamo.

Quanto abbiamo camminato oggi? 3,6 km

22/09 St. Petersburg – Orlando (218 km)

La giornata inizia all’insegna dell’arte.
Proprio così, perché St. Petersburg ospita un museo interamente dedicato alle opere di Salvador Dalì: proprio qui si trova la più grande collezione al mondo, penisola iberica esclusa, delle opere del maestro spagnolo.
Facciamo colazione con muffin ai mirtilli, cinnamon roll, nastrine con marmellata, succo d’arancia, yogurt e toast con confettura. Al momento del check-out troviamo tra i depliant turistici dei buoni sconto di 2 dollari (1.80 Eu) per i biglietti del museo.
Siamo solo a un chilometro e mezzo dalla destinazione e all’ingresso c’è la possibilità di parcheggiare a pagamento per 10 dollari (9 Eu) oppure si può lasciare la macchina negli stalli pubblici con il parcometro (un dollaro/h per un massimo di tre ore).
Il biglietto costa 24 dollari ma con lo sconto appena rimediato ne paghiamo 22 (19.50 Eu), il prezzo include l’audioguida e l’accesso alla mostra speciale che ospita il museo. Durante la nostra visita abbiamo avuto la fortuna di trovare in esposizione le opere di M.C. Escher (fino al 3 gennaio 2016), un abbinamento perfetto tra due dei nostri artisti preferiti.
Il museo è bellissimo, le opere sono esposte cronologicamente e tutto è sapientemente equilibrato: le luci, gli spazi vuoti, le ampie vetrate che danno sul mare e gli angoli più riparati che invitano alla contemplazione. Le opere, su tele grandi e piccole, partono dagli esordi e arrivano fino all’esplosione dei concetti surrealisti che hanno reso celebre nel mondo il genio di Figueres. Oltre ai dipinti, sono molto interessanti anche le fotografie che ritraggono Dalì nelle sue pose eccentriche o in spaccati di vita quotidiana con Gala, sua compagna e musa ispiratrice.
Dopo una scorpacciata di colori e visioni passiamo al bianco e nero di Escher, ai suoi tratti precisi e ai risultati pregevoli ottenuti nel corso di una vita dedicata alla ricerca continua, allo studio dei riflessi sferici e all’espansione della dimensionalità nello spazio. Quindi scale perpetue, salite e discese che non si distinguono, acque che fluiscono in circoli apparentemente possibili ma contronatura, effetti ottici, metamorfosi e relatività dei punti di vista: sublime. Sublime anche il giftshop, dove compriamo spillette di Dalì prima di andar via dopo due ore e mezza di visita.
Siamo ancora in estasi quando usciamo, facciamo una sosta nel giardino antistante e scattiamo le foto alla struttura del museo, anch’essa opera d’arte architettonica con curve morbide di vetro e acciaio che si intersecano armoniosamente con la pietra viva da cui sgorga l’acqua di una cascata come a riprodurre una sorgente.
Andiamo via con gli occhi pieni di bellezza e riprendiamo la nostra strada che ci porta dritti al Best Western Plus Universal Inn di Orlando. Durante il check-in faccio una massiccia raccolta di brochure da leggere dopo un tuffo rinfrescante in piscina. Dopo un paio d’ore di relax riprendiamo la macchina per andare al Disney Downtown che abbiamo raggiunto con una breve passeggiata dopo aver parcheggiato gratis vicino al Cirque du Soleil.
Facciamo un giro entrando e uscendo da negozi e locali, i più interessanti sono stati il T-Rex Cafe a tema preistoria con un grande acquario nella zona ristorante, dinosauri robotizzati e la kidzone dove lasciare bambini a giocare come provetti archeologi con sabbia, pennelli e fossili recuperare. Poi lo store Disney dove è Natale tutto l’anno e infine la spettacolare eruzione del vulcano del Rainforest Cafe che ci ricorda lo spettacolo visto l’anno scorso al Mirage di Las Vegas. Scattiamo qualche foto sul Lake Buena Vista illuminato da tutte le attrazioni che vi si affacciano e torniamo alla macchina per spostarci al City Walk degli Universal.
Da notare! In pratica Orlando si divide in due grandi aree: Disney Resort, che include hotel e parchi a tema della Disney e Universal Resort con hotel e parchi della casa di produzioni cinematografiche. Entrambe le aree hanno un centro per fare shopping, divertirsi, mangiare quando i parchi sono chiusi: rispettivamente Downtown Disney e City Walk.
Parcheggiamo al costo di 5 dollari (4.50 Eu), tariffa valida dalle 18:00 in poi (la tariffa giornaliera è di 17 dollari, 15 Eu), e ci dirigiamo verso la Concierge. Come avevamo visto dall’Italia, con 24 dollari (21.30 Eu) acquistiamo il pacchetto cena+minigolf 18 buche, uno dei più belli di Orlando. Ci consegnano l’elenco dei ristoranti convenzionati con questa promozione e scegliamo Jimmy Buffett’s Margaritaville dove ordiniamo Cheesburger in paradise, un hamburger ricoperto di american cheese, insalata, pomodoro, sottaceti e salsa Paradise Island. Ci aggiungiamo un enorme petto di pollo alla griglia con riso speziato alle verdure e mais arrosto.
Dopo questa cena che ci ha fatto recuperare le forze siamo pronti per la grande sfida di minigolf, scegliamo il percorso 18 buche a tema horror e casa stregata (l’altro percorso è sui film di fantascienza anni ’50), così tra ostacoli, giochi di luce e tranelli trascorriamo un’ora di relax prima di rientrare in albergo dove ci aspetta la nostra maxi stanza con maxi letti.

Quanto abbiamo camminato oggi? 6,5 km

23/09 Orlando – Universal Studios

Dopo i primi giorni di spostamenti, oggi ci concediamo una pausa divertente e dedichiamo la giornata a un parco a tema: gli Universal Studios.
Prima questione: i biglietti. Ci sono tantissime formule disponibili sul sito ufficiale, per esempio il biglietto per più giorni o quello per più parchi. Noi abbiamo scelto la formula un solo parco in un giorno, anche perché poi abbiamo avuto conferma che farne due nella stessa giornata è più o meno impossibile. Abbiamo scelto gli Studios perché siamo appassionati di cinema e perché nell’altro parco, Island of Adventure, la rollercoaster di Hulk risultava chiusa per manutenzione e anche l’orario di apertura dava meno ore a disposizione. Per questo consiglio di consultare bene il sito prima di scegliere dove andare, anche perché il biglietto costa 102 dollari (90 Eu) e vale la pena ottimizzare la spesa 😉
Da notare! In entrambi i parchi c’è un’area dedicata ad Harry Potter. Le due zone sono collegate da uno spettacolare treno-attrazione a cui si può accedere soltanto se si ha il biglietto valido per entrambi i parchi.
Lasciamo l’hotel con la navetta delle 10:00 e ci prenotiamo per il rientro delle 20:00. Il parco chiude alle 19:00 (gli orari variano in base al periodo dell’anno) e siamo riusciti a fare tutte le attrazioni al pelo, compreso un bis su Hollywood Rip Ride Rockit: una botta di adrenalina pura.
Tanto per dare un’idea delle attrazioni migliori: da non perdere Harry Potter e Transformers: The Ride 3D, indipendentemente che siate o meno fan di questi colossal. Se amate le montagne russe e la musica non perdete Rockit. Cadute verticali, giri della morte e una caratteristica molto particolare: ogni sedile può scegliere la colonna sonora della sua corsa tra rock metal, elettronica, country, pop, hip hop. Divertente anche Revenge of the Mummy e sbalorditive le attrazioni dei Simpson, Minions e Shrek 4D. Delusione totale per Twister che suggerisco di saltare a pie’ pari, è davvero brutta ed è meglio risparmiare tempo. Poi, un po’ datate e quindi meno entusiasmanti, sono MIB e ET che in confronto alle altre fanno quasi tenerezza.
Un paio di note sulle file e sugli zaini: ogni attrazione all’ingresso comunica una stima dei tempi di attesa, la nostra più lunga è stata di 50 minuti dai Minions ma in generale siamo stati su una media accettabile intorno ai 25/30 minuti. Le file non sono mai noiose perché scorrono abbastanza veloci in ambienti ricreativi e multimediali che ti introducono all’attrazione vera e propria. Si può acquistare anche un pass salta-file, basta aggiungere 49.90 dollari (44.40 Eu) al prezzo del biglietto. Per quanto riguarda gli zaini, invece, ci sono alcune attrazioni in cui non è possibile portarli con sé: nessun timore, sono disponibili degli armadietti per lasciare borse, telefoni e altri oggetti. Sono gratuiti per un tempo compatibile con l’attesa prevista dall’attrazione e si aprono e chiudono con l’identificazione dell’impronta digitale: nessuna combinazione, nessuna chiave, nessuna spesa.
Ci sono anche tanti show dal vivo, noi abbiamo dato un’occhiata alla parata pomeridiana, all’esibizione dei Blues Brothers e a uno spettacolo con gli animali addestrati più famosi del cinema e della televisione (niente di memorabile).
Decidiamo di perdere la navetta delle 20:00 e restiamo a fare un giro nel City Walk dopo aver prenotato un tavolo da Cowfish, dove ci comunicano un’attesa di 30/40 minuti prima di inviarci un sms per avvisarci che il tavolo è pronto. Da buoni appassionati di hamburger e sushi, avevamo visto questo locale dall’Italia e non potevamo perdere l’occasione di provare il Burgushi, una fusione estrema di sapori.
Quando è il nostro turno ordiniamo The Big Squeal (hamburger di manzo, carne tritata di maiale, formaggio gouda affumicato, cipolletta fritta, bacon, salsa barbecue, lattuga, sottaceti) e il tanto atteso burgushi Fusion Specialty Bento Box (una portata “combo” con mini cheeseburger accompagnato da patate dolci fritte, cetrioli thailandesi e 4 Boss Roll: tonno pinna gialla con cetriolo fritto in tempura e ricoperto con avocado, tonno rosso, wasabi e mayo).
Il panino era molto buono, il burgushi una delusione. Il prezzo: 39.81 dollari (35.40 Eu).
Anche per questa destinazione abbiamo scelto bene l’hotel, perché ci ha permesso di essere indipendenti dalle navette di collegamento ai parchi, difatti per rientrare ci è bastata una piacevole passeggiata di 20 minuti lungo il curatissimo percorso pedonale dei parchi.
Sulla strada del ritorno facciamo un bilancio della giornata e, soprattutto, iniziamo a ragionare sul percorso che ci aspetta domani: si riprende la marcia, si va in Georgia.

Quanto abbiamo camminato oggi? 13,7 km

24/09 Orlando – St Augustine – Savannah (472 km)

Oggi non abbiamo fretta. Abbiamo preparato con calma la nostra partenza con destinazione finale Savannah, in Georgia. Prima di partire ci fermiamo a saccheggiare Walgreens, un supermarket aperto 24 ore che si trova proprio accanto all’hotel.
Una spesaccia americana non può mancare, bisogna entrare in questi store anche solo per vedere cosa è possibile trovare… Noi abbiamo comprato souvenir, dolci, t-shirt, aspirine, bicchieri, penne, lavagnette e fatto rifornimento di acqua e snack per i prossimi giorni.
La nostra prima tappa è St Augustine, una località balneare che vanta anche il più antico insediamento abitato degli Stati Uniti.
Prima visitiamo la spiaggia, una lunghissima distesa di sabbia finissima. C’è un gran vento e assistiamo in diretta al programma in corso di ricostruzione delle dune. Tutto è spiegato con cartelli chiarissimi: ci sono installazioni in legno e limiti da non varcare perché stanno ripristinando l’habitat naturale della costa, il vento e la sabbia stanno lavorando benissimo in sinergia. Molte costruzioni sul litorale sono abbandonate e la natura sta lentamente riconquistando i suoi spazi. Sembra un’operazione di recupero sull’abusivismo selvaggio. Del tipo: “Ok, abbiamo sbagliato ma ora stiamo rimediando”. Vi ricorda niente? 😉
Con un dollaro si può accedere al lungo pontile da cui si potrebbero avvistare squali, balene e altre specie che però non vediamo perché il mare è davvero agitatissimo.
Al termine della sosta ci spostiamo verso il centro storico risalente al 1565, dove c’è il Castillo de San Marcos finito di costruire dagli spagnoli nel 1695. Noi optiamo per un giro nel pittoresco quartiere coloniale, molto caratteristico.
Facciamo una passeggiata per sgranchire le gambe, scattare qualche foto e comprare un po’ di souvenir. St Augustine ci sembra un bel posto dove stare a vivere negli USA, ha caratteristiche che ci risultano famigliari: piccola città, graziosa, con una storia, il mare e belle spiagge.
Alle 17:15 riprendiamo la macchina per dirigerci verso Savannah, dove arriviamo dopo 3 ore con una sorpresa: la temperatura esterna è di soli 19 gradi e il nostro abbigliamento da spiaggia è completamente sbagliato! 🙂
Il nostro check-in all’Oglethorpe Inn & Suites (agg. 08/2017: ora l’hotel è un Comfort Inn e i lavori di adeguamento alla catena alberghiera gli hanno fatto perdere molto del suo charme esterno, gli interni per fortuna sono rimasti uguali) è piuttosto pittoresco e non esattamente in linea con l’eleganza e lo stile dell’hotel. Siamo quasi imbarazzati di fronte alla bellezza dell’hotel, dico “quasi” perché in realtà non ce ne importa molto 😉
Però è davvero tutto molto bello e l’indomani, con la luce, risulterà anche meglio. E poi la stanza era grande come un appartamento!
Indossiamo abiti più adatti e siamo di nuovo in strada per una passeggiata verso Fiddlers Crab House (CHIUSO, agg. 01/20). Locale molto bello, grande, tutto in legno, con una cascata esterna che cade dal tetto e fa molta atmosfera anche all’interno. Lo staff è gentile e disponibile, anche se è tardi per i loro orari di cena ci fanno sedere e ci spiegano un po’ di cose sulle birre locali. Alla fine ordiniamo una scura Savannah Brown e la chiara Tybee Blond. Poi il piatto forte di Fiddler: gamberi e patatine, ovviamente tutto fritto, con l’immancabile insalata di cavolo e le salse della casa. Tanto per non interrompere la dieta proteica a base di carne, ci affianchiamo anche due belle bistecche di maiale arrosto con purè e verdure al vapore. Spesa totale: 42.78 dollari (38 Eu).
Giornata lunga, fatta di nuovi colori, profumi e sapori. Arrivederci Florida!

Quanto abbiamo camminato oggi? 6,15 km

25/09 Savannah

Come mai ci ritroviamo proprio a Savannah?
Non c’è una spiegazione esatta, è quel genere di città che ti chiama e prima o poi vai a visitare. Città storica, città magica, città elegante: l’ho sempre immaginata così. Un luogo cruciale durante la guerra civile americana, con le sue abitazioni in stile coloniale, le colonne bianche, le querce con il muschio spagnolo…
Poi un giorno ho letto Ascoltavo le maree del giornalista Guido Mattioni, libro ambientato proprio a Savannah, e ho deciso: voglio andare a vederla. E così, eccoci qua.
Cominciamo il nostro giro dalla Piantagione Wormsloe. Solo l’arrivo all’ingresso vale il viaggio: un viale lungo due chilometri con querce secolari che intrecciano i rami fitti e piegati a formare un arco verde che quasi sembra un lungo tunnel.
L’ingresso costa 10 dollari (8.85 Eu) e consente l’accesso in auto fino al museo, dove si può ripercorrere tutta la storia della piantagione nelle varie epoche che si sono succedute dalla fondazione avvenuta nel 1736 fino ai giorni nostri.
La visita scorre veloce, siamo praticamente i soli ospiti, e dopo aver scattato qualche selfie travestiti da coloni passiamo al Pine Trail, un sentiero di 1,5 chilometri che si addentra nella foresta fino a un insediamento coloniale ricostruito con capanne e un fabbro all’opera. Compriamo tre dadi da gioco ancora caldi e ci spostiamo verso il belvedere, affacciato su una palude molto estesa. Ci sdraiamo a prendere il sole e ci rilassiamo con i suoni della natura: il vento, le foglie, lo scoppiettio secco e improvviso delle bolle d’aria sull’acqua, segnali chiari della vita invisibile che brulica sotto di noi.
Riprendiamo il cammino e arriviamo alle rovine della colonia, dove notiamo i muri molto spessi fatti con una malta impastata con gusci di ostriche e, dopo aver visto la tomba monumentale dei fondatori, rientriamo verso il celebre viale delle querce viventi. Davanti a questo scenario incantevole esprimiamo il desiderio di vedere un cervo e guarda un po’ – mentre siamo in macchina diretti verso l’uscita – proprio mentre percorriamo la spettacolare galleria di rami intrecciati con il muschio spagnolo, un imponente cervo si ferma sul ciglio della strada e poi scatta veloce per attraversarla e sparire nel bosco. Una di quelle scene da imprimere nella testa, è stato un attimo e nessuna macchina fotografica sarebbe stata più veloce dei nostri occhi.
Ci dirigiamo verso il centro di Savannah, passando per il vasto Forsyth Park che ha una gigantesca fontana che ricorda quella di Place de la Concorde, a Parigi. Lasciamo la macchina a Madison Square (1.50 dollari/h, a pagamento fino alla 17:00) e poi iniziamo un giro in centro.
L’impressione è subito ottima e appaga pienamente le aspettative riposte: c’è tantissimo verde, molte piazze ben curate e tante abitazioni eleganti.
Facciamo uno spuntino da Panera Bread con uno smoothies banana, more selvatiche e vaniglia, una limonata biologica e un sandwich con arrosto di tacchino + BLT (18 dollari, 16 Eu).
All’uscita andiamo verso Chippewa Square: anche se le panchine erano un artificio cinematografico, è questa la piazza in cui Forrest Gump racconta la sua storia alle persone in attesa del bus. Prima di arrivare, però, ci imbattiamo in un cordone di polizia che circonda tutto l’isolato: nastri gialli a delimitare la scena del crimine come nei film e tantissime pattuglie di poliziotti in stato di allarme. Ci sono anche cineoperatori che fanno interviste e collegamenti, è successo tutto a pochi metri da noi, mentre mangiavamo: un conflitto a fuoco, come apprenderemo dal notiziario locale visto a cena.
Puntiamo dritti verso la parte bassa della città, sulle rive del fiume Savannah, per fare il nostro sacrosanto shopping lungo River Street dove troviamo El Galeon, un magnifico galeone ormeggiato vicino una storica imbarcazione con ruota a pale e tanti negozi interessanti. Veniamo attratti dal profumo di mou, caramelle e cioccolata che arriva dal laboratorio artigianale di River Street Sweets, così entriamo per assaggiare le noci pecan glassate e comprare le World Famous Southern Pralines, un dolcetto tipico che solo a nominarlo aumenta il tasso glicemico.
Per tornare indietro passiamo dal cimitero storico: ormai è buio e anche qui l’atmosfera è da film, abbiamo la luna piena che illumina le lapidi e crea dei giochi di ombre inquietanti. Sono circa le 20:00 quando un custode ci viene incontro per avvisarci che sta per chiudere e forse non è il caso di restare 😉
Prima di arrivare alla macchina cerchiamo la Owens-Thomas House, un’elegante villa del 1819 dotata di acqua corrente già 20 anni prima della Casa Bianca, e poi andiamo alla ricerca di Jones Street, la strada più bella di Savannah. Qui troviamo case a schiera, in legno, ognuna con la sua verandina con il dondolo e il marciapiede antistante la porta d’ingresso decorato con piante in vaso. Lungo il viale ci sono le famose querce con il muschio pendente e sulla strada non c’è asfalto ma l’antico acciottolato rosso. In Jones Street Savannah supera ogni aspettativa e si mostra in tutto il suo splendore.
L’abbiamo vista sotto il sole e al buio ed è sempre stata bella, sembra costruita all’interno di un bosco secolare: non ci ha deluso, era proprio una città da vedere!
Dopo una lunga giornata di giri ci avviamo verso l’hotel, decisi a cenare di nuovo da Fiddler’s perché ieri abbiamo mangiato molto bene, siamo stanchi, è tardi e non abbiamo voglia di cercare un altro locale. In città iniziano a vedersi i tour per i ghostbuster, difatti Savannah è la città più infestata d’America, e il business dei giri turistici è molto – diciamo così – “vivo”. Ovviamente le escursioni avvengono a bordo di… carri funebri! Noi non sappiamo se i fortunati assisteranno a qualche apparizione, l’unica cosa certa che vediamo è la nostra fame nera.
Per il nostro bis ci diamo dentro con Bud light e Southbound Hoplin Ipa, hushpuppies (frittelle di farina di mais) e Captain Tubby’s Burger: 220 grammi di filetto con formaggio e bacon servito con le immancabili patatine fritte. Per finire ci abbiamo aggiunto il mitico sandwich del sud: panino con crab cake, un tortino di polpa di granchio, servito con salsa remoulade piccante. Conto: 37.42 dollari (33.10 Eu).
Rientriamo in hotel soddisfatti, da notare: tutti i giri in auto di questa giornata, quindi dal nostro hotel alla piantagione e da questa al centro città e poi di nuovo in hotel, ammontano a un totale di 32 km. Il consiglio, quindi, per chi arriva a Savannah in auto è prendere un hotel fuori dal centro perché sarà probabilmente più grande, più bello e più economico.

Quanto abbiamo camminato oggi? 10 km

26/09 Savannah – Panama Beach – Destin (631 km)

Dopo un’abbondante colazione in quella che resterà la hall più bella e luminosa degli hotel visti in questo viaggio, alle 10 partiamo per tornare in Florida.
La nostra prima tappa sarà Panama Beach, distante circa 550 km, e ci arriveremo non attraverso il percorso più veloce ma il più breve. Vuol dire che attraverseremo un angolo di Georgia non turistico ma non meno importante, seguendo una parte dell’Historic Liberty Trail un tratto di strada patrimonio nazionale perché protagonista di episodi-chiave della Rivoluzione, della guerra civile e del movimento per l’emancipazione e la difesa dei diritti della minoranza nera.
Viaggiamo spediti su una striscia d’asfalto strappata al verde brillante dei boschi che si alternano ai campi di cotone e passiamo in rassegna piccoli centri abitati isolati, pacifici, con case di legno e giardini curatissimi. Lungo la nostra Hgwy 84 sfilano Ludowici, Jesup, Waycross, Manor, Homerville, Valdosta, Thomasville, la palude Okefenokee fino a Tallahassee, la capitale della Florida. Da qui prendiamo la I-10 che ci porta sull’Emerald Coast, la Costa Smeralda americana che affaccia sul Golfo del Messico. Grazie al cambio di fuso rimettiamo l’orologio indietro e guadagniamo un’ora da spendere lungo la panoramica 30A fino a Panama City Beach, dove arriviamo in tempo per un tuffo e una birretta davanti a un tramonto spettacolare.
Ci separano ancora 70 chilometri da Destin, dove arriviamo intorno alle 20 dopo quasi 10 ore di guida. La stanza del nostro White Sands Inn & Suites (agg. 01/20: diventato Best Western Sugar Sands Inn & Suites) è un vero e proprio premio: una suite con due grandi ambienti separati, entrambi con letti king size, divani, scrivanie e un grande bagno. La nostra camera affaccia su un’invitante Jacuzzi ma l’idea di rilassarci davanti a una buona cena vince su tutto, quindi usciamo subito per raggiungere il vicino Longhorn scelto su Tripadvisor: locale molto bello, accogliente, ben arredato e anche qui camerieri di una gentilezza imbarazzante come li abbiamo trovati praticamente ovunque. Ordiniamo una sirloin da 3 etti con caesar salad, purè di patate e torta di zucca, carota e cannella. Non potevamo stare senza il nostro panino quotidiano e così abbiamo aggiunto Rocky Top Chicken, un sandwich con pollo, bacon, salsa bbq, formaggio svizzero e cheddar. Tutto per una spesa di 37 dollari (32.70 Eu).
Un’altra giornata è finita, domani sarà l’ultimo giorno on the road: è arrivato il momento di lasciare la nostra amata Nissan Altima, da noi ribattezzata Tartufella 🙂

Quanto abbiamo camminato oggi? 3,5 km

27/09 Destin – New Orleans (448 km)

Oggi andiamo a realizzare un altro sogno: New Orleans.
Prima di arrivare in Lousiana, però, dobbiamo lasciarci alle spalle Florida, Alabama e Mississippi.
Su Internet, anche grazie all’uso di Street View, abbiamo scoperto un percorso alternativo lungo la 30A che seguiamo fino alla svolta per Navarre Beach.
Le immagini non mentivano: abbiamo fatto un’ottima scelta. La strada è lenta e poco frequentata ma ha grandi panorami sul mare e passaggi in mezzo a enormi dune di sabbia bianca e finissima. Dopo Navarre proseguiamo ancora per miglia lungo Santa Rosa Island, quindi seguiamo tutta la scenic drive del Gulf National Seashore fino a Pensacola.
Che dire: se passate da queste parti e viaggiate esclusivamente su Interstate e Highway, vi perderete davvero il meglio!
Dopo aver varcato il confine con l’Alabama l’unica cosa che ci ferma è un acquazzone spaventoso che riduce a zero la visibilità e ci costringe a un’uscita di emergenza nei pressi di Mobile, così ne approfittiamo per fare una pausa e prendere qualche snack per affrontare la seconda metà del viaggio. L’acquazzone, però, non accenna a diminuire, anzi aumenta di intensità e nonostante ciò il traffico resta ordinato.
Superiamo il Mississippi e finalmente entriamo in Lousiana, ha quasi smesso di piovere ma decidiamo di mettere in atto il piano pensato durante il viaggio: fermarci direttamente all’hotel per scaricare la macchina, fare check-in e dopo andare in aeroporto per la riconsegna dell’auto.
Siamo finalmente a New Orleans e ci bastano pochi minuti all’hotel St. Marie, nel cuore del French Quarter e a soli 50 metri da Bourbon Street per capire che sarà un soggiorno elettrizzante. La camera è gigantesca, c’è una bella piscina e il temporale ha finalmente lasciato posto a un timido sole. Anche qui fa caldo, siamo intorno ai 28 gradi quando torniamo in strada per andare in aeroporto. Prima, però, ci fermiamo per l’ultimo rifornimento del viaggio.
Nota sui consumi: in America la benzina costa poco, molto poco. Per questo conviene fare questo tipo di viaggi. Ci sono buone macchine, buone strade, tanti distributori e i noleggi sono accessibili. Noi abbiamo percorso un totale di 2774 chilometri e abbiamo speso 88.65 dollari (77.50 Eu). Con questa cifra abbiamo fatto due pieni e mezzo, in pratica con quasi 80 Euro abbiamo comprato 164 litri di benzina a prezzi variabili che tradotto in soldoni vuol dire in media 47 centesimi al litro. Per rendere l’idea, fare lo stesso percorso in Italia sarebbe costato circa 260 Euro!
Dopo i saluti a Tartufella scegliamo di non perdere tempo a capire come funzionano i trasporti pubblici durante un giorno festivo, così ci dirigiamo dritti verso la rimessa dei taxi e per 36 dollari (31.80 Eu) ci facciamo portare in Rampart Street, di fronte al parco dedicato a Louis Armstrong. Proprio qui c’è il bar Tonique consigliato sulla Lonely, famoso per i suoi cocktail, in particolare per il Sazerac, storica miscela alcolica che risale al 1830 ed è considerato il cocktail simbolo della Lousiana (5 cl cognac, 1 cl assenzio, 1 zolletta di zucchero, 2 dash di bitter Peychaud). Gli affianchiamo un buon Mai Tai e usciamo con lo spirito giusto per il battesimo di Bourbon Street che percorriamo dall’inizio alla fine. Tutta la strada alterna locali di ogni genere e negozi di souvenir, niente altro, e basta passeggiare per capire di quanto sia folle questa strada. Personaggi eccentrici, drag queen, ubriachi, polizia, tutti che si mescolano sui marciapiedi e sui famosi balconi in ferro battuto noti per il lancio delle collanine durante il martedì grasso.
L’atmosfera di festa cresce con il passare delle ore ma il nostro stomaco reclama attenzione, quindi andiamo nella bellissima sala del Desire Oyster Bar che fa angolo tra Bienville e Bourbon Street. Ordiniamo alligatore fritto e il trio creolo: gombo, jambalaya, riso e fagioli con salsiccia affumicata. Una delizia dai sapori decisi, per una spesa di 38 dollari (33.60 Eu). Prima di rientrare in hotel ci fermiamo al Musical Legends Park per ascoltare un po’ di jazz live, siamo a NOLA!

Quanto abbiamo camminato oggi? 5,8 km

28/09 New Orleans

Usciamo affamati come lupi perché siamo senza colazione e ci mettiamo alla ricerca di un posticino interessante. Con la luce del giorno vediamo l’altra faccia di Bourbon Street: è completamente diversa, c’è un altro tipo di fermento con i rifornimenti in corso, le grandi pulizie, tutto si muove rapidamente per prepararsi ad affrontare un’altra lunga notte.
Durante il cammino ci fermiamo a vedere un concerto improvvisato dalla Second Hand Street Band in Royal Street e procediamo fino ad arrivare in Jackson Square, una bella piazza su cui affaccia la cattedrale di San Louis.
Dopo una rapida visita degli interni attraversiamo la strada per raggiungere la riva del Mississippi, facciamo una pausa su un pontile e poi riprendiamo a camminare lungo il riverwalk fino al casinò Harrah’s. Qui siamo fuori dal French Quarter, siamo passati nel distretto finanziario e sembra di stare in un’altra città: grattacieli e grandi viali che non restano impressi, però si compra meglio e quindi ne approfittiamo per fare qualche acquisto.
Troviamo una wi-fi pubblica e ne approfittiamo per cercare un bel posticino per mangiare qualcosa, così finiamo da Jimmy J’s Cafe al 115 di Chartres Street. Ci sono solo 9 tavoli e qui non vengono turisti ma gente del posto, è un po’ nascosto ma vale la pena cercarlo. Ordiniamo un bagel, ciambella salata ricoperta di sesamo e semi di papavero, ripiena di salmone affumicato, Philadelphia, pomodori, cipolle rosse e capperi, servito con patate al forno. Per bilanciare i sapori lo abbiamo accompagnato con un bel french toast imburrato e aromatizzato alla cannella, servito con strisce di bacon e marmellata ai frutti di bosco. Da bere limonata fatta in casa e milkshake banana e fragola. Non era propriamente una colazione, ma ne è valsa la pena (30 dollari, 26.50 Eu).
Dopo il ristoro riprendiamo la nostra escursione in città e ci rituffiamo nel quartiere francese. Una via da non perdere è Royal Street, per me la più elegante e con le migliori balconate decorate che riparano le tantissime gallerie d’arte al livello della strada.
Vediamo anche l’imponente facciata della Corte Suprema della Louisiana del 1909, usata per le riprese di JFK di Oliver Stone. Giriamo in St Peter Street e la percorriamo fino al civico 632 dove c’è la Avart-Peretti House, la casa in cui visse Tennessee Williams quando scrisse Un tram che si chiama desiderio.
Continuiamo a seguire l’itinerario pedonale consigliato dalla Lonely e ovviamente lo facciamo a modo nostro (cioè al contrario), su alcune cose consigliate siamo d’accordo su altre no. Per esempio viene tagliata fuori per pochi metri Esplanade Avenue che è stata una delle strade più belle e vere che abbiamo percorso. Ai limiti del French Quarter e quindi con una credibilità maggiore in termini di vita reale, rispetto al circuito turistico.
Dopo quasi 8 ore in strada torniamo in hotel e ci prepariamo per la cena, la scelta ricade sul vicino Pierre Maspero’s, uno storico locale che propone cucina creola, francese e americana. Quale posto migliore per fondere tutte e tre? Il nostro ordine ne è la conferma: birra Nola Brown Ale e Crawfish Etouffée, dove Etouffée è il tipo di cottura lenta e Crawfish è un’aragostina, in pratica una zuppa di mare condita con spezie creole, cipolle, peperoni e sedano servita con riso in bianco e code di aragostina fritte. E non poteva mancare il test dell’hamburger: per la precisione il Maspero’s Burger, panino con 220 grammi di manzo e cheddar cheese. Tutto buono con una spesa di 46.10 dollari (40.60 Eu).
Di ritorno in hotel percorriamo ancora una volta Bourbon Street e facciamo un primo bilancio: New Orleans è da vedere, è un posto davvero singolare. Due giorni possono bastare, Bourbon Street è sicuramente la più caratteristica e famosa strada del French Quarter ma non la più bella. Si ubriacano (e non solo) in modo esagerato, tanto da perdere il controllo, c’è tanta confusione e la città ha molto di meglio da offrire rispetto a questo spettacolo. In due giorni non abbiamo mai visto bambini in giro, potete immaginare il perché…
La passeggiata lungo il Mississippi non è niente di memorabile, nonostante il riverwalk il panorama d’insieme è bruttino e il tanto pubblicizzato giro sul battello a pale non ha avuto la nostra attenzione: in pratica dura 2 ore, naviga un’ora lungo il fiume torbido e poi torna indietro. Non ci sono scorci o località particolari che vengono rivelate a chi è a bordo. Alla nostra richiesta specifica su cosa avremmo visto grazie a questa gita, nessuno ci ha dato risposte convincenti.
Quindi, se passate da New Orleans, sappiate che le vostre gambe vi faranno vedere cose più belle. A patto di muoverle, però! A proposito…

Quanto abbiamo camminato oggi? 9,45 km

29/09 New Orleans – New York

Ancora valigie pronte per un nuovo spostamento. Alle 09:00 viene a prenderci Yves con cui avevamo già preso accordi il giorno del nostro arrivo. Il volo è puntuale e ci confermano che i 36 minuti a nostra disposizione per lo scalo saranno sufficienti per prendere il volo successivo. Proprio così: a Washington dobbiamo cambiare aereo e tutto risulterà facile come prendere una metro. Scendiamo dall’aereo al gate 39, saliamo su un altro aereo al gate 41 e dopo un’ora atterriamo puntuali a New York, all’aeroporto La Guardia.
Da qui i collegamenti con Manhattan avvengono solo tramite bus e noi prendiamo lo shuttle NYCAirporter che con 14 dollari (12.30 Eu) ci lascia a Penn Station. Da qui è possibile prendere la metro per la propria destinazione ma a noi non serve, perché siamo a due isolati dal nostro Best Western Premier Herald Square e lo raggiungiamo facilmente a piedi.
Al check-in il receptionist si congratula per la prenotazione fatta con i punti della carta fedeltà, perché in quei giorni (era in città Obama per la riunione dell’UN) la loro tariffa era quotata 835 dollari! Ho dato fondo a tutti i punti ma ne è valsa la pena: la stanza è al 13 piano e di fronte a noi vediamo l’Empire State Building, siamo nel cuore di Manhattan e muoversi sarà più pratico avendo a disposizione 4 giorni per vedere il meglio della Grande Mela.
Noi iniziamo subito da Times Square che percorriamo in lungo e in largo storditi dalle luci e dai giganteschi schermi pubblicitari. È finita l’epoca dei cartelloni e dei neon!
Dopo le foto di rito e un calorico giro nello store M&M’S World continuiamo fino alla sagoma storica del Flatiron Building. Da qui ritorniamo lungo la 5a fino a 5 Boro Burger dove ci fermiamo per la nostra prima cena newyorkese: immancabile Bacon Cheeseburger con patatine e Pastrami sandwich. Niente di memorabile se non per il primo cameriere antipatico e scortese incontrato. Pazienza, NYC ci riserverà sicuramente di meglio nei prossimi giorni!

Quanto abbiamo camminato oggi? 8,1 km

30/09 New York

Finalmente torniamo a iniziare la giornata con una grande colazione: pancake, frittelle salate, muffin, succo d’arancia e via, subito sulla 5a diretti al MoMA e lungo la strada incontriamo l’edificio della Public Library, la biblioteca di NYC, la St. Patrick’s Cathedral e il Rockfeller Center.
Dopo le foto di rito a questi simboli cittadini, arriviamo al museo (apre alle 10:30 e chiude alle 17:30), il biglietto costa 25 dollari (22 Eu) e dopo aver ritirato la mappa in italiano saliamo al quinto piano per iniziare la visita con gli artisti più noti del museo.
Ascoltiamo l’audioguida che abbiamo scaricato dall’Italia, proprio così: hanno un’app fantastica che spiega le opere maggiori, anche con una versione per bambini. È gratuita, da non perdere!
Cosa si vede al MoMA? Il meglio dell’arte moderna e contemporanea: Van Gogh, Dalì, Chagall, Klimt, De Chirico, Picasso, Magritte, Kahlo tutti i nostri futuristi da Severini a Boccioni (avete presente la scultura sui 20 cents di Euro?), Fontana, Abramovich, Gauguin e tanti altri grandissimi. Visitiamo tutte le sale in ogni piano e ci soffermiamo sui grandi della pop art: Warhol, Haring e Lichtenstein.
Sazi di colori e forme, dopo 3 ore di visita usciamo per prendere la nostra prima metro a New York. Il biglietto per una corsa costa 3 dollari (2.60 Euro), ci sono formule cumulative (Metrocard) ma non abbiamo approfondito perché abbiamo programmato di prenderla saltuariamente per passare più in tempo in superficie che sottoterra 😉
Da notare! Più che le destinazioni finali, come siamo abituati a fare in Europa, per orientarsi bene sul percorso di una linea newyorkese a Manhattan, ricordate che l’isola viene divisa in una parte superiore e una inferiore. Perciò troverete le indicazioni per gli stessi treni diretti a Downtown e Uptown: prendete quello giusto 😉
La nostra corsa finisce a Battery Park, splendido giardino pubblico dove c’è l’imbarco per la Statua della Libertà. Il biglietto costa 18 dollari (15.80 Eu) e include l’audioguida che viene consegnata sul posto dopo lo sbarco. Partiamo con il ferry boat delle 15:40, in pratica il penultimo perché partono ogni 20 minuti fino alle 16. La traversata dura circa 15 minuti e l’ultimo ritorno è fissato alle 18 ma è meglio controllare gli orari sul sito perché possono essere variabili in base alle stagioni.
Con l’audioguida, abbastanza noiosa, seguiamo il percorso circolare dell’isola e ammiriamo da tutte le angolazioni l’imponente struttura di una delle statue più famose del mondo. Progettata da Frédéric Auguste Bartholdi, con l’intervento successivo di Eiffel, è un capolavoro d’ingegneria artistica. La statua appare imponente e massiccia, i tratti del volto e le pieghe della tunica drappeggiata fanno pensare immediatamente a una scultura in marmo, enorme. Ma non è così: la statua è composta da una scheletro in ferro rivestito con 310 lastre di rame sottili come monete da due penny. In pratica è cava e leggera, per questo subisce danni in caso di fulmini e tempeste.
Alle 17:30 siamo di nuovo a Manahattan per iniziare un percorso di nostra invenzione: iniziamo con il Charging Bull, il famoso toro di bronzo opera del nostro Arturo Di Modica che simboleggia la forza dell’America e ha una storia che merita di essere letta.
Entriamo nel cuore del distretto finanziario per vedere Wall Street, la borsa di New York cuore del potere economico americano e poi ci dirigiamo verso il memoriale dell’11 settembre.
Io ho avuto la fortuna di vedere le Torri Gemelle nel 1998 e conserverò sempre quel ricordo, a cui aggiungerò anche le sensazioni della visita a Ground Zero. Al posto delle Torri ora ci sono due enormi vasche quadrate con le pareti di marmo nero, sulle pareti scorre l’acqua che si accumula nella base fino a ricadere in un altro quadrato nero posto al centro dell’installazione. Di questo quadrato non si vede il fondo da nessuna prospettiva, si sente solo l’acqua cadere. Sul parapetto che circonda il perimetro delle vasche sono incisi i nomi delle vittime di quel giorno tremendo. Sullo sfondo si erge il nuovo grattacielo nato dalle macerie, come a simboleggiare la capacità americana di risollevarsi più forti di prima.
Il luogo, a pochi anni dalla sua inaugurazione, ha già assunto chiari connotati spirituali: è un luogo della memoria dove ci si comporta con rispetto e deferenza. Non si gioca, non si fa gli stupidi, non si urla, non si pascola… si può solo contemplare, ricordare e riflettere. Possibilmente in silenzio.
Da qui ripartiamo verso City Hall e il parco del municipio, e successivamente proseguiamo seguendo le indicazioni per il percorso pedonale che porta al ponte di Brooklyn, che percorriamo fino alla sua metà: un luogo perfetto per scattare foto suggestive allo skyline di New York sfolgorante di luci. Rientriamo in metro verso la zona del nostro hotel ma scendiamo a Grand Central Terminal, altro luogo mitico di questa città: una stazione secolare, imponente, in stile liberty, spesso fotografata e ripresa in tantissimi film (Carlito’s Way, Intrigo Internazionale e Gli Intoccabili su tutti). Ci sediamo sulle scale ad ammirare la volta celeste dipinta sul soffitto e nel mentre navighiamo in wi-fi per scegliere dove cenare. Stasera tocca a Blarney Rock Pub, un pub irlandese molto frequentato ma con una zona tranquilla per cenare. Prendiamo posto e abbiamo subito le idee chiare: seppure in versione Irish ordiniamo il nostro classico bacon cheeseburger a cui aggiungiamo un panino con punta di petto arrosto (40 dollari, 35 Eu).
Lunga giornata oggi e domani ne arriva un’altra altrettanto piena, non ci resta che rientrare in hotel e riposare.

Quanto abbiamo camminato oggi? 15,8 km

01/10 New York

Siamo agli sgoccioli, la nostra macchina organizzativa ha ormai raggiunto livelli militari. Siamo praticamente sincronizzati, siamo viaggiatori che si avviano sulla strada del ritorno ma ci restano alcune cose che non vogliamo perderci. Prendiamo la metro di Herald Square e dalla 34a saliamo fino all’81a per raggiungere il Museo di Storia Naturale, avete presente il film Una notte al museo? Ecco, è proprio “quel” museo.
Il biglietto di ingresso è praticamente a offerta, loro suggeriscono quella di 22 dollari (19.40 Eu) a persona ma ognuno è libero di donare quanto vuole. Il cassiere mi spiega le condizioni mentre ha in mano la mia carta di credito e alla fine mi addebita 20 dollari per due (17.60 Eu), io non avrei saputo fare di meglio 😉
Il museo è fantastico, famoso per il padiglione dedicato ai dinosauri, ha tantissime sale da scoprire anche grazie all’app ufficiale che ti permette di fare percorsi programmati e che tramite il GPS ti colloca sulla mappa virtuale così non ti perdi mai e organizzi al meglio la visita. Noi giriamo in lungo e largo tra animali impagliati, minerali, ritrovamenti fossili, scheletri e habitat riprodotti. Dopo una passeggiata nel padiglione dedicato allo spazio, usciamo per visitare l’altra grande attrazione cittadina: basta attraversare la strada per ritrovarsi nel cuore di Central Park.
Il parco è gigantesco, basta percorrere per qualche minuto un sentiero per avvertire la temperatura più bassa e il silenzio. Il rumore del traffico che circonda tutto il parco diventa impercettibile, sembra di essere davvero in un altro luogo che non ha nulla a che fare con la metropoli. Fotografiamo gli scorci migliori dei laghi e degli stagni che si alternano ai prati curatissimi, tutto intorno scoiattoli, pesci, tartarughe. Quando arriviamo al margine meridionale del parco, all’altezza della 59a, inizia a piovere e siamo costretti a sfoggiare i nostri magnifici k-way. Sarà con questi che ci presentiamo all’interno della chiesa di Saint Thomas sulla Fifth: c’è il concerto del coro in corso e ne approfittiamo per fermarci ad ascoltare.
L’aura mistica che ci pervade ispira la tappa successiva: una cheesecake noci e caramello da Magnolia, la pasticceria resa famosa dalla serie televisiva The Sex and the City, celebrità che si riflette anche nel prezzo del buonissimo dolcetto monoporzione: 7.50 dollari! (6.60 Eu).
Dopo la pausa iniziamo il nostro shopping newyorkese: t-shirt, mug, infradito, magneti, non ci sfugge niente. Mentre ci era sfuggito The Keg Room, un locale bellissimo a pochi metri dal nostro hotel, con 30 maxi schermi che trasmettono gli sport più amati in USA (baseball, basket e football americano). L’inizio e la fine: i migliori panini li abbiamo mangiati a Miami il primo giorno e proprio qui al termine del viaggio, un congedo migliore non potevamo sperarlo! Ordiniamo Crispy chicken slider: straccetti di pollo con bacon affumicato, cheddar cheese con patatine; e Smockehouse Burger, con cheddar cheese, 220 gr di Black Angus , salsa bbq e bacon affumicato, con le immancabili patatine. Conto: 30 dollari (26.50 Eu).
Siamo quasi pronti alla partenza, dobbiamo mettere a punto ancora alcuni acquisti, assicurarci il trasferimento verso l’aeroporto di Newark e soprattutto fare le valigia. Ma prima…

Quanto abbiamo camminato oggi? 12,2 km

02/10 New York – Roma

Prima di partire dobbiamo vedere ancora Chinatown e Little Italy quindi al mattino, nonostante la pioggia, usciamo presto per raggiungere in metro questi due quartieri confinanti.
C’è da dire che ormai Chinatown è più grande e caratteristica di Little Italy ma in generale, entrambi, non hanno più il fascino di una volta…
Facciamo una serie di acquisti inutili rendendoci conto che nei giorni scorsi, seppur in pieno centro, abbiamo trovato dei buoni prezzi. Quindi se non volete spingervi fin qui o non avete il tempo per farlo, anche intorno a Time Square troverete prezzi simili. Gli oggetti, invece, sono praticamente identici ovunque. Per avere un riferimento medio sui prezzi che si trovano nei negozi di souvenir, considerate buone le promozioni 5×10 dollari sulle T-shirt, 4×10 sulle calamite e 3×10 per le classiche tazze I Love NY.
Dopo le ultime spese rientriamo in hotel perché ancora una volta, grazie al check-out ritardato previsto per i clienti Diamond, possiamo lasciare la stanza alle 13:30. Recuperiamo le nostre valigie, salutiamo e accettiamo l’omaggio di un paio di poncho antipioggia che usiamo per coprire i bagagli.
Il nostro volo parte da Newark e, dopo aver raccolto informazioni su internet, abbiamo deciso di arrivarci con il treno perché gli shuttle potevano subire ritardi a causa del traffico dovuto al maltempo.
Come arrivare all’aeroporto Newark da Manhattan? Facile. Bisogna raggiungere Penn Station sulla 34a, cercare le indicazioni per New Jersey Terminal (NJT) e acquistare alla cassa il biglietto per l’aeroporto al costo di 13 dollari (11.50 Eu). I treni partono ogni 15 minuti e impiegano meno di 30 per arrivare a destinazione. Bisogna scendere alla stazione Air Terminal e da qui prendere la monorotaia (inclusa nel prezzo del biglietto) che porterà al terminal previsto per l’imbarco del proprio volo (di solito i voli internazionali sono tutti al terminal B).
Abbiamo calcolato tutto per arrivare in tempo e ci siamo dati un margine di un’ora per imprevisti e ritardi. Il margine non è stato intaccato. Durante le procedure d’imbarco dei bagagli notiamo che le nostre valigie sono ingrassate di 6 chili, più o meno quanto noi a furia di mangiare hamburger e schifezze varie. A proposito di schifezze, quest’anno sul podio degli snack insoliti sgranocchiati in macchina mettiamo: al terzo posto le patatine ai sottaceti, al secondo le Pringles al Cheeseburger e quelle Baked Potato, al primo posto quelle alle costatine di maiale bbq. Ok, siamo davvero alla fine. Dopo 15 giorni da trottole è arrivato il momento del ritorno in Italia.
Gli Stati Uniti si confermano un luogo ideale per una vacanza on the road, tutta organizzata da soli e dall’Italia, senza particolari disagi, in sicurezza e con una spesa accettabile per noleggio dell’auto, benzina, caselli (in tutto il viaggio ne abbiamo incontrato uno solo, che è costato 1 Euro) e alberghi.
Come da nostra buona abitudine durante il viaggio di ritorno facciamo bilanci e classifiche: la cosa più bella, l’episodio più divertente, la cena migliore… ma soprattutto ragioniamo già sulle destinazioni successive.
Dove si va al prossimo giro? Costarica? Giappone? Olanda? Non lo sappiamo ancora, ci pensiamo un po’ e poi sarà il viaggio a scegliere noi.
Di sicuro abbiamo prenotato Bratislava a Dicembre, poi si vedrà… 😉

Ma alla fine, quanto abbiamo camminato? 115 chilometri! 🙂

Note
Tutti gli hotel sono stati prenotati su Booking (escluso quello di NYC)
Libro letto su Kindle: La marcia di E.L. Doctorow
Guide di riferimento: Stati Uniti orientali della serie Lonely Planet
Come sempre spero che questo diario possa stimolare e aiutare altri viaggiatori, sono a disposizione in caso di domande.

Un pensiero riguardo “Diario di viaggio USA: Florida, Savannah, New Orleans e New York

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