Diario di viaggio in India: Varanasi, Agra, Jaipur e Delhi

India. Agra. Il Taj Mahal.
Agra. Il Taj Mahal.

Di nuovo India. A distanza di 11 anni volevo vedere con occhi diversi luoghi diversi del subcontinente, nel 2004 andai a Mumbai e Calcutta e tornai piuttosto scosso: fu un impatto devastante che condizionò la mia opinione sull’India. C’è voluto del tempo e tanti altri viaggi per pensare a un ritorno, poi l’entusiasmo della mia compagna (non solo di viaggio) e un film, The Fall, mi hanno dato l’ispirazione definitiva: era arrivato il momento di tornare 🙂

25/03 Roma – Dubai – Delhi

Prima di partire, ci vuole una rapida premessa sui documenti di viaggio.
Per andare in India serve il visto e bisognava seguire una procedura abbastanza complessa, più o meno scoraggiante come quella per ottenere il visto russo. Pazienza, senza visto non si parte quindi bisogna organizzarsi e decidere se affidarsi a un’agenzia o fare da soli. Io non avevo intenzione di inviare i passaporti in agenzia tramite poste, quindi ho scelto di fare tutto da solo online e di persona.
Per fortuna rispetto a questo viaggio le cose sono cambiate, di seguito elenco i passaggi che ho dovuto fare nel 2014 e – dopo le righe barrate – ci sono le istruzioni aggiornate per chiedere il visto per l’India online.

Per chiedere il visto per l’India erano necessari alcuni passaggi:
1) Studiare i requisiti per richiedere il visto;
2) Compilare il form online (potete farlo aiutandovi con questa demo che traduce in italiano i vari campi);
3) Consegnare in ambasciata a Roma i documenti (oppure consolato indiano per Milano) collezionati, rispettando giorni e orari indicati sul sito;
4) Ritirare il visto.

Qualche altra nota: sul sito abbiamo trovato diverse incongruenze (per esempio sulla necessità di presentare anche un documento che attesti la capacità economica necessaria per la permanenza in quel Paese, come una busta paga) ma telefonando in ambasciata non abbiamo risolto granché perché quando siamo riusciti a parlare con qualcuno, raramente, ci siamo accorti che sulla procedura da seguire ne sapevano meno di noi. A scanso di equivoci ho portato con me a Roma anche una busta paga che poi non è servita.
Il costo del visto turistico per l’India è di 53 Euro a persona, questa cifra cambia se la richiesta è per affari oppure studi. Anche l’attribuzione della durata è a discrezione dell’ambasciata: a noi hanno concesso un visto multiplo di sei mesi e uno a ingresso singolo per tre mesi. Quanto tempo ci vuole per il visto? Un solo giorno. Ho consegnato i documenti e mi hanno dato un appuntamento per ritirarli il giorno successivo, della serie: ci vuole più tempo a dirlo che a farlo 😉

AGG. Gennaio 2020: Tutti questi passaggi non sono più necessari!
Dal 2014 l’India ha introdotto il visto elettronico, come l’ESTA per andare negli USA.
Ora non bisogna fare la lunga trafila di prima, basta visitare il sito di un’agenzia specializzata, avviare la pratica online e in 48 ore è pronto: facile, veloce, pratico e anche più economico.

Bene, informazioni di servizio finite. Ora partiamo davvero!
Il volo A/R per Delhi l’ho acquistato sul portale viaggi di American Express – che dopo abbondanti confronti si conferma ancora una volta il migliore i voli intercontinentali – ed è costato 400 Euro a persona, con Emirates.
Ci avviamo verso l’aeroporto alle 06:00, c’è una gran pioggia e un gran traffico, tanto che nonostante l’ampio margine calcolato arriviamo al solito parcheggio giusto in tempo per l’imbarco.
Ci ha aiutato moltissimo aver fatto il check-in online che permette a chi deve imbarcare i bagagli di presentarsi al banco fino a 90 minuti prima del volo, altrimenti sono richieste tre ore di anticipo e non ce l’avremmo fatta. Abbiamo giusto qualche minuto per cambiare un po’ di Euro in rupie, poco, giusto il necessario per arrivare sul posto con moneta locale e fronteggiare le prime spese (54 Euro = 3000 rupie), il resto lo ritireremo presso gli ATM.
Sul volo niente da dire, tutto fila liscio e alle 11:00 decolliamo diretti a Dubai. Su Emirates riscontriamo spazi più larghi del solito, un ottimo servizio di bordo e anche il pranzo – accompagnato da un menù per ogni poltrona – sembra più gustoso del solito rancio offerto dalle compagnie aeree. L’intrattenimento è di livello con tv, giochi e per la prima volta due telecamere che riprendono gli esterni dal muso dell’aereo e dal carrello: due visuali esclusive per i passeggeri, particolarmente suggestiva quella dal muso durante le manovre di atterraggio e decollo.
Il volo dura 5 ore e a Dubai abbiamo due ore e mezzo di attesa per goderci un po’ l’avveniristico aeroporto, che poi non è niente di così eccezionale, prima di imbarcarci sul secondo aereo diretto a Delhi. Altre 3 ore di volo passano veloci con una buona lettura, un paio di partite di minigolf e la cena.
Dopo aver spostato le lancette avanti di tre ore, una volta atterrati in India ci aggiungiamo un’altra ora e mezza. Proprio così: il fuso rispetto all’Italia è di 4,5 ore, è la prima volta che mi capita!
Una volta sbarcati la prima cosa che facciamo è metterci in coda per consegnare un foglio compilato in aereo dove dichiariamo di non avere i sintomi dell’ebola. Almeno per il momento… 😉
Il secondo stop è per il controllo di visti e passaporti e poi ritiriamo i bagagli, arrivati puntuali senza patemi.
Sono le 04:00 del mattino e il nostro programma si conferma ben ragionato: abbiamo deciso di non fermarci ora a Delhi, la vedremo di ritorno, ma di proseguire subito per Varanasi.
Subito per modo dire perché il volo JetAirways (86.60 Eu) decolla alle 10:30 e prima di poter imbarcare nuovamente i bagagli dobbiamo riempire 4 ore di attesa in aeroporto. Cerchiamo delle poltroncine comode e concludiamo così la nostra prima notte in India, in fondo “domani” è già “oggi” 😉

26/03 Delhi – Varanasi – Sarnath

L’attesa è veloce e siamo ancora carichi di adrenalina, non sentiamo alcuna fatica del primo giorno di viaggio e siamo curiosi di raggiungere Varanasi, la nostra prima tappa.
Il volo da Delhi impiega solo 45 minuti e una volta atterrati andiamo dritti spediti verso il box dei taxi prepagati, che applicano tariffe fisse governative e rilasciano regolare ricevuta. Così non dovrete iniziare a conoscere l’India con estenuanti trattative per arrivare in hotel.
Spendiamo 700 rupie (10.25 Eu) e ci infiliamo in una macchina d’epoca sferragliante e senza aria condizionata. Anche le cinture di sicurezza sono un optional.
Abbiamo un’ora di marcia per superare il primo impatto con il traffico indiano che per noi risulterà decisamente convulso e poco salubre. La circolazione di auto, moto, biciclette, animali e persone non è descrivibile, si può soltanto immaginare. Nel caos generale in cui siamo immersi tutto sembra funzionare perfettamente: nessuno si arrabbia per ciò che fa l’altro né lo interpreta come una prepotenza, anche l’entropia ha un suo ordine paradossale e qui sembra compiersi definitivamente.
Ci muoviamo tra strombazzamenti continui, completamente avvolti in un meccanismo che non comprendiamo ma che non si inceppa e ci porta a destinazione.
La stanza dell’hotel Buddha si rivela modesta ma tanto non ci trascorreremo molto tempo, non siamo neppure arrivati che subito torniamo in strada e fermiamo un risciò di passaggio per la nostra prima escursione. Occidentali in giro non se ne vedono e nel giro di pochissimo siamo letteralmente circondati da cinque altri guidatori con la bocca piena di paan, una poltiglia che masticano di continuo e che produce un colore rossastro su denti e gengive: sembra una scena di The Walking Dead. Ah! Ovviamente ogni tanto sputano la miscela con degli scaracchi impressionanti per consistenza e colorazione, quindi tenete gli occhi aperti quando caricano…
Siamo diretti a Sarnath, un luogo sacro del buddhismo, e dopo 40 minuti di marcia e 300 rupie (4.40 Eu) spese senza contrattare, arriviamo al Parco dei Cervi.
Qui il Buddha ha messo in moto la ruota del Dharma, proprio qui ha pronunciato il primo sermone a cinque discepoli. Entriamo nel tempio Mulganda Kuti Vihar proprio nell’orario (tra le 17:00 e le 18:00) in cui, ogni giorno, viene scandito il primo sermone pronunciato dal Buddha.
Dopo aver assistito alle orazioni dei monaci insieme a pochissime altre persone ci spostiamo all’esterno per ammirare il gigantesco baniano che deriva dall’albero originario di Bodhgaya, sotto il quale il Buddha giunse all’illuminazione.
Il parco circostante (ingresso 20 rupie, 0.30 Eu) è immerso nel verde e oltre ai cervi si trovano diversi animali. Qui accade una cosa particolare che poi si confermerà almeno altre 50 volte durante il viaggio: veniamo fermati da una famiglia indiana in gita che ci chiede con estrema cortesia e pudore di poter scattare una foto insieme. Il capo-famiglia ci stava per immortalare con moglie e figlie quando una guardia del parco si è avvicinato e si è offerto per scattare la foto, così anche il papà si è aggiunto al quadretto con i due strani occidentali. Questo episodio ci ha ricordato quanto accadde in Cambogia, quando ci invitarono a un matrimonio locale e per qualche minuto siamo stati gli ospiti d’onore della festa, con tanto di fotografie insieme agli sposi. Loro vestiti come star di Bollywood e noi in costume e infradito, di ritorno da una giornata di mare! 🙂
Poi ci dirigiamo verso il Dhamek Stupa, che troviamo chiuso, ma prima ci fermiamo presso il tempio giainista Digambara (10 rupie, 0.15 Eu) dove ascoltiamo un fedele che descrive le caratteristiche principali del giainismo e le differenze con il buddhismo. Ci mostra moltissime istantanee del suo maestro, anche insieme a Sonia Ghandi e al Dalai Lama, foto in cui appare sempre integralmente nudo. Proprio così, perché il giainismo Digambara prevede la completa nudità, addirittura alcuni spazzano la strada su cui camminano per evitare di uccidere qualsiasi essere vivente. Digambara vuol dire “vestiti d’aria” e sono una fronda estrema del giainismo, gli fanno da contraltare gli Svetambara, “vestiti di bianco”, che sono meno conservatori e più in linea con i tempi attuali.
Facciamo alcune domande sulla svastica, simbolo mistico molto presente nella cultura indiana, e finiamo per ascoltare delle spiegazioni affascinanti sul simbolismo religioso che accomuna varie fedi. Per esempio ci indica una curva che simboleggia un’onda contenuta nel simbolo dell’Om, confrontandola con la mezza luna islamica, con i mudra induisti e altri simboli comuni adottati da diverse dottrine religiose. Pensiamo quindi alle nostre mani che, unite una affianco all’altra, riproducono con i palmi proprio quella curva in ogni foto della nostra gallery di viaggio, una singolare coincidenza. O no? 😉
Dopo altri 40 minuti di buche e polvere continuiamo ad osservare affascinati questo traffico che di notte sembra ancora più caotico, circondato dalla vita: sono tantissime le persone che sul ciglio della strada cucinano, mangiano, bevono, dormono e sì, fanno anche i propri bisogni. C’è tanta sporcizia e miseria intorno a noi, impossibile far finta di niente e menarla con la dignità, la fierezza degli sguardi e i vestiti sgargianti e bellissimi. Purtroppo la decadenza è dominante e la puzza delle strade vince sui flebili profumi di fiori e incenso che si affacciano timidamente da qualche tempio.
Il nostro autista ci saluta e ci presenta un suo collega con cui ci mettiamo d’accordo per l’indomani, per arrivare all’Assi Gath in riva al Gange.
La richiesta stavolta è di 150 rupie (2.20 Eu), adesso una piccola e veloce parentesi sulla trattativa: potete trattare praticamente su tutto ma quando un uomo ti chiede due Euro per seguirti mezza giornata e dedicarti intere ore con il suo automezzo sembra quasi offensivo giocare al ribasso, piuttosto pensate a come rimpinguare il compenso con una buona mancia. Altro che trattare al ribasso…
Dopo un’intera giornata di foschia trascorsa con 38 gradi costanti, la temperatura si comincia lentamente ad abbassare fino ai 31 gradi delle 21:30. Sarà più o meno così per tutto il viaggio, non moriremo sicuramente di freddo 😉
Facciamo una doccia veloce e proviamo il ristorante del nostro hotel, dove ordiniamo roti (chapatti), un pane indiano non lievitato e naan al formaggio. Poi riso con semi di cumino, riso kashmiri (con anacardi, uvetta, arancia, formaggio di capra e spezie) e uova sode in salsa Masala. Dopo aver pagato lo stratosferico conto di 852 rupie (12.50 Eu) rientriamo in camera, finalmente ci aspetta un letto dove dormire davvero. Crolliamo rapidamente in un sonno profondo: ci penseranno i clacson e i richiami alla preghiera della vicina moschea a svegliarci domani 😉

27/03 Varanasi

La giornata comincia con un’abbondante colazione: succhi tropicali, toast imburrati con marmellata gusto Big Babol e patate al forno insieme a frittelle di cavolfiori e patate. Per finire anche un po’ di crema pasticciera.
Alle 10:30 siamo in strada dove già ci aspetta il nuovo amico con cui ci eravamo accordati ieri. Il nostro programma prevede di farci lasciare ad Assi Ghat, da lì risaliremo il Gange costeggiando tutti i ghat più importanti fino a quello di Manikarnika.
Piccola parentesi sugli autisti dei tuk tuk (o motorisciò): a parte il prezzo sempre gonfiato (ma ripeto, per noi sostenibilissimo), provano spesso a portarti nei negozi di amici da cui ricevono delle provvigioni in caso di vendite. A volte sono fastidiosi perché ti costringono a deviazioni o soste forzate ma basta essere fermi nel rifiuto per evitare di perdere tempo.
Varanasi è una città sacra dell’induismo, forse la più spirituale d’India. Qui c’è il fiume-dio Gange e i suoi 80 ghat, le scalinate lungo le sponde che scendono fino all’acqua: è su queste scale che ogni giorno si celebra la fusione tra uomo, natura e divinità. Qui si compiono i riti del ciclo vitale dalla nascita alla morte, qui si prega e qui si muore. E per gli induisti morire a Varanasi è una benedizione perché significa essere liberati dal ciclo delle reincarnazioni.
Partiamo da Assi Ghat e passiamo in rassegna Tulsi, Bachrah, Shivala, Dandi e Hanuman Ghat dove non mancano le scimmie (Hanuman è una divinità dalle sembianze umane e di scimmia).
Il sole picchia forte, ci sono già 37 gradi alle 11:00 del mattino e la nostra passeggiata è appena iniziata. Intorno a noi molte persone fanno le abluzioni rituali nell’acqua, pregano, si lavano e si immergono insieme ai loro animali.
Arriviamo quindi ad Harishchandra Ghat e ci fermiamo per una sosta decisamente insolita.
Questo ghat è un crematorio all’aperto, quindi assistiamo alla composizione di una pira funeraria con un uomo avvolto in un sudario che, dopo essere stato immerso nel Gange, viene dato alle fiamme.
Le sensazioni sono molto personali, non c’è una descrizione universale e comprensibile per tutti. Bisogna vedere, se si decide di farlo. Oppure non andare, in base alla propria sensibilità.
Di sicuro bisognerebbe evitare di scattare foto (a meno che non siate dei professionisti), prima di tutto perché non è propriamente un’attrazione turistica da immortalare e poi perché rischiereste di essere avvicinati da persone che chiedono soldi per “autorizzare” l’uso della macchina fotografica. A noi ci hanno avvicinato semplicemente per il fatto di averla al collo. Si avvicinano anche precisando che non sono delle guide ma vogliono spiegarti come funzionano le cremazioni. Alcuni chiedono soldi e altri no, noi ascoltiamo un ragazzo che ci spiega che il costo di una cremazione tradizionale è di 5000 rupie (73 Eu), mentre farlo in un forno crematorio elettrico costa la metà. Non tutti sono ammessi a questa forma di rito di passaggio, per esempio i bambini sotto i cinque anni, le donne incinta, i sadhu e le persone morse da un cobra non possono essere arse ma devono essere immerse nel fiume con dei pesi. Sarà poi il Gange a restituire quel che resta del corpo. A noi non è successo ma può accadere di avvistare cadaveri in decomposizione, diciamo che prima di vederli si “sentono” già a grande distanza.
Dopo qualche riflessione la passeggiata continua, però dall’interno, lungo una stradina parallela ai ghat da cui parte un fitto dedalo di vicoli. Ci perdiamo un po’ in queste viuzze strette pieni di negozietti e mucche e ci fermiamo ad acquistare un set di bracciali da un vecchietto molto simpatico (70 rupie, 1 Eu).
Tornati nuovamente sul Gange acquisto anche tre collane fatte a mano per 210 rupie (3 Eu). Arriviamo quindi a Dashashwamedh Ghat, il ghat più conosciuto e frequentato.
Qui le scale sono più grandi, collegano direttamente a un mercato nella parte alta e nei pressi della riva ci sono i palchi per le preghiere collettive e la pratica dello yoga. Vediamo per la prima volta alcuni turisti occidentali e qui farei una piccola annotazione: non abbiamo incontrato italiani né pullman di turisti, in totale avremmo visto sì e no una ventina di occidentali che avevano all’incirca tutti lo stesso stile, sembravano usciti dalla fotocopiatrice dell’anticonformismo. I giovani avevano lunghissimi dread, piercing e tatuaggi, mentre i più stagionati avevano un’aura hippie nostalgica e un po’ patetica. Tutti erano vestiti con abbigliamento e accessori in linea con gli usi locali.
Facciamo una pausa seduti sulla scale calde di sole e conosciamo un signore tedesco che ci racconta di aver visto molte volte Varanasi, e continua a tornarci per la sua spiritualità. Per motivi legati ai suoi studi stava ripercorrendo le vie del Buddha e il giorno successivo sarebbe andato a Sarnath. Ci dice che Varanasi è molto cambiata rispetto alla prima volta in cui la visitò nel lontano 1966 e in risposta a una mia battuta ci ha tenuto a precisare che non era mai stato un hippy: era andato fin lì richiamato dalla curiosità e dai suoi studi, non dalla retorica psichedelica.
Durante la conversazione un barcaiolo ci ha stressato chiedendo 1200 rupie (17.50 Eu) per fare un giro di un’ora sul Gange con la sua barca a remi ma abbiamo preferito continuare la nostra massacrante ma divertente passeggiata.
Arriviamo finalmente al Manikarnika Gath, il più famoso per le cremazioni ed effettivamente qui la situazione è più industriale rispetto al precedente. Ci sono enormi cataste di legna ammucchiate ovunque, c’è un grande pubblico seduto sui gradoni come se fosse in un anfiteatro antico e le pire che ardono in quel momento sono almeno cinque, tanto che la cerimonia vista ad Harishchandra Ghat in confronto sembra un funerale intimo, riservato a pochi.
Anche qui ci chiedono di non fare fotografie però poi ci indicano anche il modo per raggiungere una postazione migliore per assistere alle cremazioni. Decidiamo di proseguire da soli e ci inerpichiamo per un sentiero che collega a una balconata e da lì proseguiamo fino al limite del crematorio. Ci passa davanti un corteo funerario con uomini che portano a spalla una barella di bambù su cui poggia un cadavere avvolto in un sudario, diretto verso la pira. L’aria è acre e i fumi sono densi e bruciano gli occhi, direi che come primo giorno in India abbiamo fatto il pieno di sensazioni forti.
Non restiamo a lungo a vedere il disfacimento causato dalle fiamme e continuiamo a camminare fino al vicino, e spettacolare, Scindia Ghat: un tempio imponente scivolato nell’acqua del fiume che assicura foto meravigliose.
Siccome era previsto dal nostro programma preparato in Italia, affittiamo qui una barca a motore per navigare sul Gange e spendiamo solo 500 rupie (7.30 Eu), meno della metà rispetto all’offerta precedente.
L’imbarcazione arriva fino al primo crematorio visto al mattino, Harishchandra Ghat, e poi rientra lentamente a motore spento facendosi trascinare dalla corrente.
Dopo un’ora di navigazione siamo di nuovo a terra e ci arrampichiamo sulle scale del Ghat fino alla Moschea di Alamgir, qui troviamo ragazzi che giocano a cricket – lo sport nazionale molto amato dagli indiani – e si divertono come matti. Facciamo una pausa e riprendiamo il cammino verso il Vishwanath Temple, un tempo dedicato a Shiva inserito nell’omonimo quartiere. I varchi sono presidiati da guardie armate e i metal detector ci confermano la necessità di tenere gli occhi aperti come consigliato nella guida, a causa di non meglio precisate “tensioni locali”. Gli accessi sono quattro e sono riservati agli hindu, mentre gli stranieri hanno un loro ingresso ma prima devono lasciare borse e zaini presso armadietti numerati a pagamento. La calca è davvero tanta e i vicoli strettissimi, non sembra ma sono due file di persone che marciano in sensi opposti e noi ci siamo in mezzo. Si spinge moltissimo e la polizia urla di continuo comandi che per noi restano incomprensibili, riusciamo a mantenere la calma ma rinunciamo a entrare nel tempio per guadagnare il più in fretta possibile la strada principale. Consiglio non richiesto per claustrofobici e persone sensibili: se in questo quartiere vedrete anche voi la calca che avanza ed esce dal tempio non vi avvicinate neppure, potrebbe risultare una situazione molto fastidiosa.
Ci lasciamo la folla alle spalle e ritroviamo il traffico che, se possibile, dopo la pace offerta dalle rive del Gange ci sembra ancora più caotico e convulso del mattino. In questa zona scopriamo che non possono accedere motorisciò per cui proseguiamo a camminare in una sorta di isola pedonale deputata allo shopping ma anche qui, forse perché siamo stanchi, accaldati, affamati e con i sensi pieni di colori, urla, odori, polveri non reggiamo a lungo i ritmi della ressa, quindi preferiamo rientrare in hotel con un motorisciò preso al volo (200 rupie, 3 Eu).
Alle 20:00 siamo sotto una bella doccia purificante e dopo scendiamo a mangiare. Stavolta ordiniamo come pane cheese paratha e roti (chapatti), poi kofta vegetariani, cioè delle frittelle di vegetali con curry, poi riso con verdure di stagione e burro, e un bel pollo al curry. Paghiamo 763 rupie (11.20 Eu), prenotiamo il taxi e programmiamo la sveglia alle 08:00, domani si parte per Agra!
Varanasi è da vedere. Sinceramente all’inizio temevamo di aver fatto un errore a cominciare proprio da questa città così estrema e fuori dalla rotta del Rajastan ma siamo contenti di aver fatto questa deviazione.
Varanasi non la dimenticheremo.

28/03 Varanasi – Agra

Partiamo da Varanasi alle 09:30 del mattino diretti ad Agra con un volo Air India (41 Eu). Non ne avevo trovati durante la passeggiata lungo il Gange ed ero ormai rassegnato ad aver interrotto la mia collezione di magneti, quando clamorosamente, 10 minuti prima della partenza, proprio tra i pochissimi negozi dell’aeroporto trovo uno shop che vende calamite di Varanasi! Ne acquisto un paio insieme a una maglietta per 700 rupie (10 Eu), non un granché ma sempre meglio di niente.
Dopo un’ora di volo passata a sonnecchiare ritiriamo i bagagli e troviamo chiuso il box dei taxi prepagati, quindi siamo costretti a contrattare con un tassista l’importo di 400 rupie (5.90 Eu) per arrivare al nostro hotel Howard Plaza.
La struttura si presenta molto bene anche se avrebbe bisogno di qualche lavoretto e in reception l’accoglienza è fredda. Andiamo avanti, la stanza è spaziosa e arredata bene, lasciamo gli zaini e scendiamo giù in piscina a programmare il resto della giornata.
Verso le 16:00 siamo di nuovo in strada e con 100 rupie (1.50 Eu) prendiamo un tuk-tuk che ci porta all’Agra Fort. L’ingresso costa 300 rupie (4.40 Eu) e dopo aver fatto lo slalom tra le guide improvvisate, varchiamo l’Amar Singh Gate, il maestoso portale d’ingresso e iniziamo a scoprire i giardini di questo complesso militare del 1565.
Il forte nel tempo è stato arricchito così tanto da sembrare un palazzo reale ornato con le migliori decorazioni e intarsi dell’arte moghul. Togliamo le scarpe per entrare nella deliziosa Nagina Masjid, la piccola “Moschea Gemma” adiacente al Bazar delle Signore. Da qui ci spostiamo verso il cortile del Diwan-i-Khas, la sala delle udienze pubbliche, dove possiamo ammirare in lontananza il grandioso Taj Mahal.
Fu proprio in questo forte, all’interno della torre ottagonale Khas Mahal, che nel 1666 fu imprigionato da suo figlio l’imperatore Shah Jahan. La sua prigione dorata era esposta verso il Taj Mahal che lo stesso imperatore aveva fatto costruire per commemorare la moglie, che raggiungerà dopo 8 anni di reclusione. Usciamo passando per la Diwan-i-Am, la sala delle udienze pubbliche, e dopo la pace dei giardini curatissimi quasi ci manca un po’ di sano caos indiano.
Così appena fuori dal forte saliamo su un tuk-tuk e per 100 rupie (1.50 Eu) ci facciamo accompagnare alla moschea Jama Masjid, all’interno del Kinari Bazar. Volevamo un po’ di caos? Siamo stati accontentati: è buio, siamo gli unici occidentali e ci osservano tutti però senza ossessionarci di richieste. Così dopo aver visitato il sito religioso, non indimenticabile, ci fermiamo due volte, per comprare infradito di cuoio di cammello (400 rupie, 5.80 Eu) e poi in un negozietto che vende oggetti in marmo lavorati a mano. Compriamo due cofanetti di dimensioni e colori diversi e due lucerne portacandele intarsiate, tutto per 700 rupie (10 Eu).
Rientriamo in hotel con altre 100 rupie (1.50 Eu) e ceniamo al ristorante Rendezvous. Nel piatto finiscono: naan, hyderabadi dum biryani (riso basmati con carne di pollo precedentemente marinata in una mistura di spezie di Hierabad per una notte e poi inumidita nello yogurt). Poi seek lajabab (un kebab di agnello speziato con peperoni, servito in salsa di pomodoro e cipolle), samosa chat ripieni di patate, piselli, frutta secca, ceci, cipolla, chilli, chutney e Kathi roll’s, una piadina con pollo speziato tikka. Spendiamo 1700 rupie (25 Eu), fanno un po’ di casini con il conto che non riescono ad associare alla mia camera perché hanno scambiato la mia registrazione al check-in con quella di un altro cliente. Per fortuna all’arrivo non funzionava il POS, altrimenti avrei pagato anche la tariffa dell’altro cliente che risultava più alta della mia. Questo disguido mi ha confermato che in reception non lavorano bene e che l’hotel ha bisogno di una rinfrescata, meglio dormirci su… 😉

29/03 Agra

Sveglia alle 08:30 e considerate le massicce dosi di cibo piccante dei giorni scorsi, e in particolare quello della sera prima, optiamo per una sana e ricca colazione continentale con carico di zuccheri: ciambelle, cornetti, nastrine, toast con marmellata e succo d’arancia.
Zaini in spalla usciamo dall’hotel e troviamo ad aspettarci Rama, l’autista di tuk-tuk che il giorno prima ci ha portato al forte di Agra. Abbiamo diverse cose da vedere così decidiamo di passare tutta la giornata con lui, quindi trattiamo un prezzo forfettario per le visite al Taj Mahal e in altri tre siti per la cifra di 500 rupie (7.30 Eu).
La prima tappa è al Southgate, l’ingresso sud del Taj Mahal. Rama ci lascia alla biglietteria ed imbocchiamo le file separate per uomini e donne, da rispettare sia per fare il biglietto sia per accedere. L’ingresso costa 750 rupie (11 Eu) e include una bottiglietta d’acqua, i copri scarpe per entrare nel mausoleo e la navetta per avvicinarsi ai cancelli.
Quando arriverete in questo edificio tanti procacciatori si offriranno per accompagnarvi su calessi trainati da cavalli o cammelli, ma perché spendere di più? 🙂
Ai controlli di sicurezza sono stati molto rigidi e non ci hanno fatto passare un piccolo treppiede che abbiamo dovuto lasciare lì, per fortuna la guida era nello zaino altrimenti avrebbe rischiato anche quella. Ebbene sì, l’afflusso di persone è così massiccio e costante che evitano qualsiasi cosa possa intralciare gli accessi, come persone che si fermano a leggere o a scattare foto elaborate.
Superiamo i portali di ingresso e finalmente appare davanti a noi l’opera monumentale simbolo dell’India, conosciuta in tutto il mondo e ovviamente Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO: il Taj Mahal.
L’abbiamo visto in foto, in televisione, nel nostro immaginario è una figura nota ma la visione d’insieme del complesso è ancora più spettacolare. Il bianco dei marmi scintilla sotto il sole e contrasta con il verde dei giardini antistanti la base quadrangolare, mentre la cupola si staglia contro l’azzurro del cielo. Tutto è stato sapientemente calcolato per stupire e imprimersi nella mente, anche il luogo della costruzione, lungo il fiume Yamuna, è stato scelto perché geologicamente sarebbe stato impossibile costruire altri edifici attorno al mausoleo.
Vale la pena ricordare che siamo di fronte a una tomba, non è né un tempio né un castello, è un monumento funebre costruito nel 1632 che ospita le spoglie di Mumtaz Mahal, seconda moglie di Shah Jahan.
Intarsiato con pietre semipreziose, hanno partecipato ai lavori 20.000 persone tra artigiani e architetti provenienti da tutto il mondo. Sono tante le leggende che orbitano sulla storia del Taj Mahal e vale la pena approfondire un po’ la sua conoscenza per godersi pienamente la visita.
Dopo esserci prestati volentieri agli ormai rituali selfie con sconosciuti, scattiamo anche noi foto meravigliose e ci avviciniamo verso la sala che accoglie le tombe del sultano e della sua amata. C’è tanta gente ma non c’è calca, tutto scorre piuttosto rapidamente forse perché seguiamo la fila dedicata ai possessori di biglietti per stranieri che costano di più ma garantiscono una maggiore velocità.
Ora diciamocela tutta: il meglio del Taj Mahal è negli esterni. Man mano che ci si avvicina si ammirano ancora di più i colori e le elaborate decorazioni ma all’interno non si segnala nulla di particolarmente memorabile se non la grata che protegge i due cenotafi, scolpita finemente da un unico blocco di marmo.
Ci affacciamo lungo il fiume e sostiamo qualche minuto in giardino, seduti su una panchina all’ombra di rigogliosi alberi di sandalo. Dopo due ore usciamo e compriamo una t-shirt e delle calamite per 500 rupie (7.30 Eu). Aggiungiamo presso lo shop di Shilpgram anche un cofanetto.
Raggiungiamo il nostro Rama e proseguiamo verso la seconda tappa, il monumento funebre di Itimad-ud-Daula. L’ingresso costa 110 rupie (1.60 Eu) ma c’è uno sconto se si esibisce il biglietto del Taj Mahal per cui si paga 100 rupie (1.50 Eu). Anche questo è veramente molto bello e, anche se più piccolo, è visibilmente più decorato soprattutto negli interni. Per fortuna è anche molto ma molto meno visitato per cui c’è la possibilità di fare altre bellissime foto senza intrusi e godersi una visita tranquilla senza l’assillo della folla né di procacciatori che tentano di appiopparti la loro compagnia per farti da guida.
Partiamo per la terza destinazione, Chini-ka-Rauza, un’altra tomba messa piuttosto male. Qui l’ingresso è libero ma tutto è in completo stato di abbandono. Gli intarsi e le pietre sono quasi del tutto rimossi, non abbiamo incontrato un solo turista e c’erano ragazzi che giocavano a cricket lanciando la palla contro il monumento. In tutta onestà: è una visita che si può tranquillamente saltare.
Restiamo pochissimi minuti e poi ripartiamo verso il Mehtab Bagh, un parco celebre per le sue viste sul Taj Mahal dall’altra sponda del fiume Yamuna.
Anche qui ci fermano diverse persone per fare delle foto insieme e continuiamo ad essere sorpresi da quella che ormai è evidente una prassi abbastanza frequente: ho chiesto in un paio di occasioni i motivi di quelle foto ma le risposte sono sempre state evasive, quasi pudiche. Cose del tipo “le faccio vedere agli amici” oppure “le metto su Facebook” 😀
Queste richieste insolite ti fanno sentire un po’ una star di Hollywood, anzi di Bollywood, ma ci siamo sempre prestati con piacere e anzi abbiamo arricchito il nostro album con foto a nostra volta scattare insieme a loro. Alla fine ne abbiamo scattate 43 solo a gruppetti di sconosciuti!
L’ingresso al parco costa 100 rupie con lo sconto come per il precedente e vale la pena fare una visita, per la pace, i colori e la vista del Taj Mahal che sovrasta il placido fiume.
Torniamo verso il tuk-tuk e dichiariamo concluse le nostre escursioni, a questo punto della giornata siamo in confidenza con Rama e ci dice molto onestamente come stanno le cose per lui: se adesso lo accompagniamo in alcuni negozi di souvenir, lui prende un mancia di 20 rupie anche se non acquistiamo nulla. Quindi, considerata la sua disponibilità, accettiamo volentieri e ci facciamo portare un po’ in giro presso alcuni negozianti con cui ha questa collaborazione. In un due occasioni compriamo anche sei pashmine, una t-shirt, una scatola porta anelli, the, spezie, una federa per il cuscino, spendiamo 1800 rupie (26.35 Euro) e contribuiamo ad aumentare anche il compenso di Rama 😉
A cena raggiungiamo Pinch of Spice, che gode di ottime recensioni. Il locale è molto bello e arredato benissimo, decidiamo di ordinare alla carta e non servirci al buffet. Anche se sono soltanto le 20:00 abbiamo molta fame e ordiniamo come antipasto degli spring roll in versione indiana, in attesa delle portate principali: navratan pulao (riso con ananas, piselli, uvetta, funghi, fagiolini, carote e formaggio) e afghani murg (pollo marinato in cardamomo verde e kaju paste, cotto in tandoor). Per finire aggiungiamo mutton rogan josh (uno spezzatino di agnello “moderatamente” speziato, insaporito con curry). Spesa totale 1570 rupie (23 Eu).
Ok, la giornata è finita e siamo molto soddisfatti delle visite che abbiamo fatto. Rama ci riporta in hotel e prima di andare in camera risolviamo finalmente la questione sospesa con il pagamento della stanza, così domani mattina possiamo partire senza perdere in tempo durante il check out. Hai visto mai che ritroviamo di turno la stessa persona dell’arrivo? 😉

30/03 Agra – Fatehpur Sikri – Abhaneri – Galtaji temple – Jaipur

Partenza ore 11:00. Questa giornata sarà lunga e prevede un trasferimento in macchina da Agra a Jaipur.
Abbiamo organizzato tutto dall’Italia chiedendo un preventivo per il tragitto a Ranjeet Singh, titolare di Colourful India Travel, un tour operator consigliato su alcuni forum di viaggiatori.
Sono bastate un paio di mail per fissare il prezzo a 5500 rupie (80 Eu). Sul posto si può trovare anche a qualcosa di meno ma abbiamo preferito avere la sicurezza del collegamento, che si è rivelato efficiente e professionale. La cifra includeva ovviamente la benzina, i caselli e l’autista (ho guidato in USA – e non solo – per migliaia di chilometri, ma mai ho pensato di poterlo fare in India!).
Alle 12:00 arriviamo a Fatehpur Sikri, altro Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. L’ingresso costa 250 rupie (3.60 Eu) e la navetta 10 (0.15 Eu).
Fino all’ingresso del complesso monumentale l’assillo di persone che ti avvicinano è continuo, in particolare sono bambini e ragazzi che provano a vendere qualsiasi cosa. La richiesta è incessante, a volte è addirittura necessario essere bruschi per fargli capire che non sei interessato, anche rischiando di risultare antipatico. Ti bombardano letteralmente di richieste, la frase che ho detto più spesso in India è “No, thank you” e qui ho messo il record assoluto.
All’interno ci sono molte cose da vedere e tutto è molto curato: le sale delle udienze private e pubbliche, la sala del tesoro, il giardino delle signore e il Panch Mahal, un padiglione con cupola a bulbo. Da non perdere le vasche ornamentali e il Palazzo di Jodh Bai, dimora della moglie di Akbar, è un mix perfetto di stili diversi: colonne indiane, cupole islamiche e tegole persiane azzurre e turchesi. Quando culture e popoli si incontrano possono nascere cose straordinarie.
Dopo ci trasferiamo verso la Jama Masjid, una moschea costruita nel 1571 dotata di una porta d’ingresso monumentale, la Buland Darwaza alta ben 54 metri.
All’interno della moschea si trova la splendida tomba di Shaik Salim Chishti, un mausoleo in marmo bianco del 1581 a cui si accede scalzi e con il capo coperto, sia uomini sia donne. Qui le donne senza figli legano alla grata di marmo antistante la tomba, un filo rosso come gesto votivo per propiziare una gravidanza.
Di ritorno verso il parcheggio ci fermiamo a comprare tre magneti per 60 rupie (0.45 Eu) e alle 14:30 siamo di nuovo in marcia, diretti verso Abhaneri dove arriviamo alle 17:00 per vedere il famoso Chand Baori, un pozzo a gradini che sembra uscito da un quadro di Escher.
Giusto venti minuti per fare delle foto e ripartiamo diretti al tempio Galtaji, altrimenti noto come Monkey Temple, dove arriviamo alle 19:00.
Ormai è buio pesto, turisti non se ne vedono e siamo un po’ timorosi mentre superiamo i cancelli d’ingresso. Alcuni ragazzi vestiti con abiti tradizionali ci vengono incontro e ci presentano a Sadhu Dubebaba che ci introduce nel tempio. Siamo soli, il sadhu ci fa strada e ci conduce verso una porticina chiusa con un enorme lucchetto. Tira fuori la chiave, apre i battenti e ci invita a entrare in una saletta. Sediamo per terra insieme a lui e improvvisa per noi una breve cerimonia privata per augurarci buona fortuna. Ci applica in fronte un tilak arancione, ci lega al polso un bracciale giallorosso, ci unge il dorso della mano con un olio profumato e poi recita un mantra incomprensibile mentre ci sfiora con una piuma di pavone. Alla fine ci spiega le differenze tra i colori e le forme dei tilak, che identificano la confraternita di appartenenza e rappresentano una visibile benedizione. La posizione è quella del terzo occhio, altrimenti conosciuto come “occhio spirituale”, secondo l’ayurvedica la sede della più importante terminazione nervosa del corpo umano.
Dopo seguiamo due bramini che ci portano dalle scimmie e ci raccontano di aver visto sette volte una tigre e più volte i leopardi, siamo nel loro territorio e il tempio ospita una ricca colonia di scimmie e due piscine: l’ambiente perfetto per il grande felino asiatico.
In questo tempio ci sono oltre 1000 scimmie e ad alcune di queste diamo da mangiare, il luogo è silenzioso e immerso nel verde. Dopo i timori iniziali ci godiamo una visita davvero unica, tanto che andiamo via contentissimi di averlo visto fuori dagli orari abituali. Anche perché i ragazzi ci dicono che arrivano in media 3/4 pullman al giorno di turisti italiani!
Alle 20:00 ripartiamo e dopo un’ora arriviamo in hotel, solito caos di traffico anche qui ma la stanza del Devraj Niwas ci ripaga del lungo viaggio: bella, pulita, spaziosa, con una verandina esterna privata circondata da bambù con due belle poltroncine di vimini per rilassarsi un po’.
Con le forze residue ci trasciniamo verso il ristorante The Forresta dove proviamo a ordinare qualcosa di non piccante per i nostri stomaci che iniziano ad accusare il regime alimentare ultra speziato. Purtroppo non c’è niente da fare, anche se ti assicurano che non c’è piccante o che è poco speziato, ti arriverà comunque una portata fumogena. Anche se lo definiscono “medium”, “mild” o “little bit”, aspettatevi comunque qualcosa che brucia in una scala che va dal nostro molto piccante al nucleare. Pazienza, piuttosto che ripiegare su McDonald e pizzerie ci immoliamo sull’altare del chutney sacrificati al Dio Peperoncino.
Ordiniamo pollo al sesamo marinato in miele e pepe, seekh kebab (polpette di agnello alla griglia, aromatizzate alla menta), riso biryani e riso fritto, entrambi con verdure di stagione. Dopo aver pagato il conto di 1700 rupie (25 Eu), ci trasciniamo in stanza dove ci aspetta un enorme letto a baldacchino per concludere un’altra soddisfacente giornata indiana.

31/03 Jaipur

Dopo una colazione leggera, con 100 rupie (1.50 Eu) ci facciamo portare al New Gate per iniziare un itinerario a piedi all’interno della Città Rosa. Sono 3 km da fare in 3,5 ore, almeno secondo quanto prevede la nostra guida, ma alla fine impiegheremo circa il doppio del tempo previsto perché veniamo subito rapiti dall’atmosfera del Bapu Bazar e non ci facciamo pregare per iniziare a fare un po’ di sanissimo shopping. Compriamo quantità industriali di orecchini, collane e bracciali per 700 rupie (10 Eu), un caffettano per 400 (5.90 Eu), infradito per 200 (2.95 Eu), un’agenda fatta a mano con carta riciclata per 140 (2 Eu) e due t-shirt e due magneti per 250 (3.70 Eu).
Nel mezzo non manchiamo di visitare alcuni palazzi storici. Cominciamo dall’imponente Hawa Mahal, cinque piani di arenaria rossa, da visitare perché ha un biglietto di ingresso cumulativo, che dura due giorni e permette l’ingresso a sette siti, tra cui l’osservatorio di Jantar Mantar e il celebre Amber Fort. Il biglietto costa 400 rupie (5.90 Eu).
Continuiamo a passeggiare fino all’ingresso di Jantar Mantar, altro luogo Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. All’interno ci sono una serie di strutture dalle architetture insolite e a prima vista incomprensibili, ma che hanno un senso logico, anzi scientifico. Siamo all’interno di un osservatorio astronomico e quelle installazioni strambe sono perfettamente allineate con i principali pianeti e costellazioni: se siete esperti e appassionati di astronomia resterete incantati, altrimenti non lo troverete granché interessante però potrete fare ugualmente delle foto spettacolari.
Di fronte Jantar Mantar c’è il City Palace, la principale attrattiva di Jaipur. L’ingresso costa 400 rupie (5.90 Eu) ma non include la visita agli interni del palazzo dove ancora vivono i discendenti del maharaja. Per visitare queste stanze private si può fare un biglietto a parte che costa ben 37 Euro per una visita guidata di 45 minuti, uno sproposito rispetto agli standard indiani!
Anche nel City Palace troviamo due sale ormai familiari: Diwan-i-Khas e Diwan-i-Am, rispettivamente la sala delle udienze private e pubbliche. Nella prima ci sono due giganteschi recipienti d’argento alti 1,60 metri all’interno delle quali il maharaja, devoto induista, si faceva portare a Londra l’acqua del Gange per le sue abluzioni.
Il meglio del palazzo lo offre il cortile del Pitam Niwas Chowk su cui affacciano quattro coloratissime porte che rappresentano le stagioni. La più fotografata è quella dell’autunno, il Peacock Gate, con cinque bassorilievi di pavoni dal piumaggio sgargiante.
All’uscita continuiamo il nostro percorso pedonale lungo le mura della città vecchia e alcuni passanti ci indicano un tempietto di Krishna sull’altro lato del nostro marciapiede. Già al mattino ce l’avevano segnalato ma abbiamo declinato l’invito pensando che si trattasse del solito procacciatore che poi avrebbe provato a venderci qualcosa. Invece stavolta decidiamo di approfondire, quindi attraversiamo la strada ed entriamo. Altre persone ancora ci indicano la direzione per andare sul terrazzo dove scattiamo delle foto dall’alto, il tempio non era niente di eccezionale e alla fine pensiamo che l’invito ad andare e poi entrare era un gesto devozionale disinteressato.
Intorno alle 19:30 preleviamo per la terza volta da un ATM 10000 rupie (147.50 Eu) e poi rientriamo, distrutti dal caldo dal sole e dal caos delle strade, ci restano le forze giusto per una doccia e la cena.
A proposito, che si mangia oggi? Murg badshash, un pollo arrosto condito con zenzero, aglio e crema di yogurt, riso con cumino e parantha pudina per un totale di 1000 rupie (14.70 Eu). Stavolta abbiamo esplicitamente chiesto tutto non piccante anche se il pollo… un pochino… va be’, come non detto, non ce la fanno proprio!
Un’altra notte al reparto grandi ustioni 😀

01/04 Jaipur

Alle 12:00 usciamo diretti verso l’Amber Fort, a circa 13 chilometri da Jaipur. Ci porta un tuk tuk per 500 rupie (7.40 Eu) e il conducente ci aspetta fuori il parcheggio per la durata della visita.
Il forte è arroccato su una collina e ai suoi piedi c’è un laghetto in cui si specchia, il colore delle mura si confonde con quello della roccia e l’intera struttura sembra un pezzo unico scolpito nella montagna. Tutto intorno ci sono poderose fortificazioni che si arrampicano sui crinali a formare una muraglia difensiva insuperabile.
Si può raggiungere la cima e quindi l’ingresso del forte a dorso di elefante ma solo fino alle 12:00 e dopo le 15:30. Quando arriviamo noi i pachidermi sono a riposo e quindi ci tocca la scarpinata biblica fino al Jaleb Chowk, il cortile principale.
Varcato l’ennesimo portale di ingresso maestoso e decorato, superiamo il Ganesh Pol – il portone da cui si accede agli appartamenti del maharaja – e qui bisogna segnalare la luccicante Jai Mandire, la Sala della Vittoria, riccamente decorata con intarsi e specchi. Poi ci avventuriamo in altri corridoi e cortili, e ci perdiamo letteralmente nel dedalo di cunicoli e passaggi della struttura militare.
Dopo aver ritrovato l’orientamento, ci andiamo a sdraiare sulle amache fisse nel cortile centrale del maharaja su cui affacciano gli appartamenti delle donne. Qui attiriamo l’attenzione di un gruppo di turisti che arriva da Chennai e – indovinate un po’? – ci chiedono di fare alcune foto insieme. Decine di foto. Sono poliziotti e come posa scelgono la stretta di mano, ci mancava solo lo scambio dei gagliardetti e il calcio d’inizio. Scambiamo ancora qualche parola, tanti sorrisi e alla fine ci promettiamo di spedirci le foto via mail.
Sulla strada del ritorno ci fermiamo a scattare qualche foto al Jal Mahal, il Palazzo del Vento, sul lago Man Sagar. Più che sul lago bisognerebbe dire dentro il lago, perché il palazzo è letteralmente immerso nell’acqua ricca di pesci e solo l’ultimo piano e il terrazzo emergono. Il sito non è visitabile ma si possono fare delle foto uniche.
Al rientro facciamo una pausa in hotel e poi usciamo di nuovo fuori per continuare lo shopping al bazar del New Gate. Mentre scendiamo dal tuk-tuk una dolorosa botta al ginocchio ci mostra tutta la compassione degli indiani: arrivano in tre dopo aver abbandonato le bancarelle con la propria merce. Una signora rovescia una cassetta per farci sedere sul pulito, un altro porta il ghiaccio e un altro ancora viene a indicare come raggiungere una farmacia.
Per fortuna è solo una contusione e non c’è bisogno di approfondire, però abbiamo capito in questa occasione più che mai che anche se non hanno niente da dare, nel momento del bisogno non si tirano indietro e ti offrono ciò che possono. L’avevamo notato in altre situazioni dove eravamo spaesati e ci hanno sempre aiutato, e in questa occasione ne abbiamo avuto la conferma definitiva.
Ci fermiamo con loro per una pausa, poi ringraziamo tutti e zoppicando ci congediamo verso il miglior anestetico: shopping etnico compulsivo. Compriamo ancora infradito e un paio di cavigliere, poi rientriamo e consumiamo l’ultima cena a Jaipur a base di naan, riso con cumino, tandoor bharwa aloo (patate bollite con semi di sesamo), zeera murg tikka (bocconcini di pollo marinato nel cumino) e murg reshmi kebab (pollo sfilacciato con pasta di anacardi), conto finale: 1500 rupie (22.10 Eu).
Domani si riparte!

02/04 Jaipur – Delhi

Il personale del Devraj Niwas è molto attento alle richieste dei clienti, così ci concedono un check-out ritardato che ci permette di lasciare la camera alle 13:00. Saldiamo il conto e dopo mezz’ora prendiamo il taxi che ci porterà in aeroporto in 45 minuti per 600 rupie (8.85 Eu). Il volo è Air India comprato online al costo di 39 Euro e dura 50 minuti.
Lo so che questi brevi spostamenti si potevano fare in treno ed immergersi ancora di più nel concetto, sempre molto relativo, di “vera India”, ma siamo stati molto pragmatici e visto che il tempo a disposizione non era tantissimo abbiamo preferito evitare intoppi, ritardi e lunghi viaggi potenzialmente scomodi. Così, visto che le cifre dei voli interni non erano astronomiche, abbiamo preferito spendere un po’ di più ma guadagnare molte ore di tempo rispetto ai tragitti in treno, perché dovevamo ottimizzare i 10 giorni da affrontare con ritmi serrati.
Atterriamo a Delhi e cerchiamo il taxi prepagato, qui un servizio fornito dalla polizia della capitale, e con la tariffa governativa di sole 395 rupie (5.80 Eu) dopo un’oretta arriviamo all’hotel The Hans New
Delhi. Fanno un po’ di casino con la stanza perché ce ne assegnano una con letti separati, allora torniamo a farci sentire e ce ne mostrano un altro paio da scegliere. Così finiamo al piano 20 di 21, bella stanza e vista decisamente panoramica.
Facciamo qualche ricerca su internet e troviamo il Rajdhani Thali Restaurant, un ristorante esclusivamente vegetariano. Ha ottime recensioni ed è consigliato anche sulla guida, quindi lo raggiungiamo a piedi visto che dista solo 600 metri da noi. La formula è sfiziosa: all’ingresso ti disegnano un tilak di benvenuto sulla fronte, poi ti portano al tavolo e dopo pochi istanti arriva un cameriere con una enorme brocca di ottone piena di acqua calda e la fa scorrere in un catino mentre ti lavi le mani. Dopo ti portano una gamella di acciaio con dentro altre ciotoline e inizia una processione di camerieri che a turno riempiono i recipienti con zuppe, formaggi, creme, verdure, riso, semole e così via fino ai dolci. In totale sono 23 assaggi di cui puoi chiedere il bis finché vuoi, il tutto servito con diversi tipi di pane che portano rigorosamente caldo, appena cotto. Un servizio davvero eccellente, come la cucina di ottima qualità, per l’incredibile cifra di 900 rupie per due persone! (13.20 Eu).
All’uscita mastichiamo un po’ di jhilmil supari, un misto di spezie digestive che rinfrescano la bocca, e ci godiamo un improvviso temporale tropicale che ci coglie a metà strada. Questa ci mancava!
Lo spettacolo finale ce lo godiamo dalla postazione privilegiata al ventesimo piano, dove la nostra televisione è una grande finestra che mostra una tempesta di fulmini abbattersi sulla notte scura di Delhi.

03/04 Delhi

Dopo tutte le verdurine della sera prima, al mattino la colazione in hotel ci riserva una gradita sorpresa: finalmente riusciamo a mangiare un po’ di sano bacon fritto e salsiccia! Ci aggiungiamo anche pane tostato, marmellata, ciambelle, cornetti, nastrine, succo di mango e alle 11:00 siamo in strada diretti alla metro.
Sì, la metro. Ne avevamo letto bene ma dopo ciò che abbiamo visto nelle strade indiane dubitavamo che potesse essere davvero come nelle descrizioni. E invece no, tutto è stato confermato: la metro è sorprendentemente pulita ed efficiente, anche più di quelle che ho usato in Europa. Una cosa che non ti aspetti.
I controlli all’interno sono simili a quelli degli aeroporti: nastri per i bagagli e metal detector, quindi risulta difficile non pagare il biglietto 🙂
Gli accessi sono separati uomini-donne e anche i vagoni sono diversi: ci sono quelli per sole donne e quelli misti. Spendiamo 10 rupie (0.15 Eu) per arrivare in Chatni Chowi e una volta emersi siamo di nuovo circondati dal caos, più forte che mai.
Disorientati nella folla, stavolta cediamo alla corte di un ciclorisciò che ci vuole accompagnare alle mete che abbiamo in programma: Forte Rosso, Jama Masjid e mercato delle spezie. Ci chiede solo 150 rupie (2.20 Euro) e subito dopo la partenza abbiamo già deciso che alla fine gli avremmo raddoppiato il compenso perché ci sembrava davvero troppo poco.
All’ingresso del Red Fort ci avvicina un ragazzo del posto che inizialmente scambiamo per il solito ambulante ma non è così, anzi, ci dà una bella dritta perché eravamo nella lunghissima fila riservata agli indiani mentre potevamo andare al botteghino per gli stranieri che era praticamente vuoto!
L’ingresso costa 250 rupie (3.70 Eu) e va detta una cosa in tutta sincerità: onestamente, dopo aver visto i forti e i palazzi di Agra e Jaipur, questa struttura non risulta granché e si potrebbe tranquillamente evitare. Mentre vaghiamo nei giardini, diversi ragazzi ci chiedono di fare foto insieme e verso la fine del percorso ritroviamo il nostro amico che ci aveva suggerito la fila giusta per noi, anche lui trova il coraggio e finisce per farci una foto.
All’uscita ritroviamo Santos che con il suo ciclorisciò ci porta alla moschea Jama Masjid, la più grande d’India, dove entriamo alle 14:00, appena terminata la preghiera del venerdì. L’ingresso costa 300 rupie (4.40 Eu) e vale la pena entrare anche solo per ammirare il quadrilatero circondato dai minareti alti 40 metri, capace di ospitare 25.000 fedeli.
Ci mettiamo in un angolo a leggere sulla guida le informazioni sulla moschea quando a un tratto, complice la giornata festiva, ci ritroviamo letteralmente circondati da famiglie e indovinate un po’ cosa vogliono? Foto, foto, foto.
Qui mettiamo il record di foto scattate con indiani, sono decine di persone che a turno si mettono in posa sorridenti al nostro fianco rivolti verso gli smartphone di amici e parenti. Più volte gli diciamo di usare la moschea come sfondo ma niente da fare, saremmo controluce e la foto verrebbe male: meglio la cancellata arrugginita alle nostre spalle! Ci divertiamo molto a scherzare con loro, stringere mani, abbracciare i bambini più timidi e recalcitranti che le madri trascinano verso di noi come se fossimo il Babbo Natale seduto nei grandi mall americani. Non basta spostarsi perché anche all’angolo opposto riceviamo le stesse richieste da altre famiglie, alla fine usciamo molto carichi e ci sfoghiamo al mercato delle spezie. Qui inizia un’altra sessione di shopping selvaggio: pacchi da 250 grammi di cumino, curcuma, curry, coriandolo, masala intero e trito, chilli e vari tipi di the. In tutto spendiamo 1500 rupie (22.10 Eu).
Dopo gli acquisti ci facciamo portare alla fermata della metro e una volta a destinazione Santos, invece di ringraziare per avergli raddoppiato il prezzo concordato e aggiunto una buona mancia, si impunta dicendo che il prezzo concordato era per ora e non per tragitto. Sapevamo di questo giochino, ne avevamo letto ma nessuno l’aveva messo in pratica finora, la cifra richiesta in ogni caso non è esosa ma è la presa in giro che non digerisco, quindi gli lascio i soldi sul risciò, volto le spalle ed entro in metro. Rispetto al mattino siamo nell’ora di punta e c’è una gran fila, quindi dopo un po’ decidiamo di rinunciare ai mezzi pubblici e torniamo in superficie dove ritroviamo ancora il buon Santos che come se non fosse successo niente era pronto a riprenderci a bordo e domanda: “Where?”
Lo ignoriamo e prendiamo un tuk tuk che ci porta al Main Bazar per 350 rupie (5.10 Eu). Qui compriamo tutto il resto: magneti, vestiti, sportine, immagini delle divinità hindu, bracciali,orecchini, kajal, the, scatolini, borse… una marea di roba con meno di 2000 rupie (circa 30 Eu). Alla fine non trattiamo neanche più tanto siamo distrutti, in fondo le cifre sono sempre irrisorie e gli assilli continui, a volte snervanti…
Ceniamo al Kaffa con murgh makhani, petti di pollo cotto in tandoori con pomodoro, burro e crema, accompagnati da saada chawal, riso basmati e pane laccha parantha. Spendiamo 950 rupie (14 Eu) e ci prepariamo per l’ultima notte indiana, la valigia può attendere. Almeno fino a domani.

04/04 Delhi – Roma

Dopo una gran colazione è il momento di fare le valigie. Anche se abbiamo davanti a noi tutta la giornata da trascorrere in città, dobbiamo lasciare la stanza e quindi dobbiamo preparare i bagagli come se dovessimo andare in aeroporto. Per fortuna un temporale spaventoso si scatena e ci trattiene in hotel, così abbiamo tutto il tempo per organizzare la nostra giornata. Come orologi sincronizzati con il meteo, quando abbiamo finito è spuntato il sole e l’aria è mite.
La prima tappa è ancora un ATM per ritirare le ultime 3000 rupie (44.20 Eu) e poi in metro arriviamo fino alla Humayun’s Tomb, monumento funebre che ha ispirato il Taj Mahal. L’ingresso costa 250 rupie (3.70 Eu) e la passeggiata da fare è molto gradevole.
Sostiamo qualche tempo tra gli alberi e gli scoiattoli e poi ci avviamo verso l’uscita per fare gli ultimi acquisti. Andiamo in tuk-tuk fino al Janpath Market dove scateniamo l’ultimo shopping isterico con una spesa totale di ben 30 euro. Cosa finisce nello zaino questa volta? Sciarpe, maglie, gonna, sportine, parei, bracciali, orecchini, agenda, shottini, statua del Buddha sdraiato e una decina di federe per cuscini, oltre agli immancabili magneti.
Questo mercato è il più turistico (e pulito) che abbiamo visto in tutto il viaggio. Qui abbiamo trovato praticamente tutto quello che avevamo acquistato nei giorni scorsi ma i prezzi, per quanto bassi, erano comunque alti rispetto agli acquisti precedenti. In questo bazar abbiamo ripreso a contrattare perché conoscevamo già i prezzi di alcuni oggetti e ci siamo accorti che i commercianti rincaravano di brutto. Su quasi tutto quello che ci interessava comprare sono scesi del 50% semplicemente rifiutando il prezzo iniziale e voltando le spalle… Su altri articoli invece non ci sono stati margini di trattativa, per esempio le scatoline di marmo comprate a Jaipur erano vendute a un prezzo maggiore e non scendevano più di tanto. quindi ci siamo sentiti ancora più soddisfatti dei buoni acquisti fatti in quella città.
Alla fine rientriamo in hotel verso le 17:00, ci cambiamo nello spogliatoio e prenotiamo il taxi per l’aeroporto per 600 rupie (8.85 Eu).
Al check-in scopriamo che le nostre valigie portano oltre 16 chili in più rispetto all’andata! Per fortuna il limite di 30 chili di Emirates non ci ha fatto temere costosi supplementi. A quanto pare noi siamo dimagriti ma qualcuno è decisamente ingrassato! 😉
Una volta entrati nel duty free pensiamo a come spendere le ultime 250 rupie (3.70 Eu) e subito ci vengono incontro due meravigliose sportine di Delhi per la cifra finale di 249.60 rupie, bingo!
Con questo acquisto pensiamo di aver sconfitto il dio dello shopping ma un paio di negozi ci attirano e ci seducono: non abbiamo dolci da portare in Italia e così finiamo per comprarne giusto un paio di chili!
Sono passate le 21:00, tra circa un’ora il nostro volo ci riporterà a casa e mi allontanerò ancora dall’India. Questa volta, però, con uno spirito diverso, non ostile come in passato.
Anche per questo viaggio non esprimerò giudizi né opinioni su miseria e ricchezza, sulla sporcizia e comportamenti che per noi restano incomprensibili. Non ho le competenze per fare analisi del genere, che per essere credibili dovrebbero andare oltre populismi e demagogie e fondarsi su una completa conoscenza di storia, cultura, tradizioni, religioni, lingue, usanze, costumi, politica, ecc… e io non ho la pretesa di conoscere l’India così bene solo perché l’ho visitata un paio di volte, io al massimo posso consigliare un ristorante 😉
Sono stato bene, ho trascorso giornate piene di cose da fare, da vedere, da provare e torno a casa con un’idea migliore rispetto al passato. 
Questa era la sfida del viaggio: cambiare idea, fare pace con l’India.
Pace fatta.

Note
In media le temperature durante il giorno sono state sui 34/36 gradi con punte di 38. Le minime non sono mai scese sotto i 24.
Tutti gli hotel sono stati prenotati su Booking.
Libro letto su Kindle: Bambino 44 di T.R. Smith.
Guide di riferimento: India del Nord della serie Lonely Planet  e India fai da me di Claudia Marforio.
Quest’ultima guida l’ho trovata particolarmente utile: essenziale, precisa e piena di consigli pratici che si sono rivelati molto preziosi. Mi è piaciuta, forse perché ha uno stile asciutto e concreto in linea con i miei diari di viaggio 🙂
E infine grazie al mio amico e collega-viaggiatore Paki, per le dritte che ha saputo darmi anche in questa occasione.
Come sempre spero che questo diario possa stimolare e aiutare altri viaggiatori, sono a disposizione in caso di domande

3 pensieri riguardo “Diario di viaggio in India: Varanasi, Agra, Jaipur e Delhi

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  1. Hello Federica and Luigi,

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    Thanks and best regards

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